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Volto santo, giudizio sospeso
Ma questa leggenda non si affermò prima del XIII secolo. In realtà nella città armena di Edessa (oggi Urfa in Turchia) si vedeva fin dal VI secolo almeno il Mandylion, un drappo recante un’immagine del volto del Cristo ch’egli vi avrebbe miracolosamente impressa inviandola poi al reggente edessano, Abgar, che ammalato la desiderava. Nel X secolo il Mandylion fu trasportato da Edessa, assediata dagli arabi, a Costantinopoli: e lì pare fosse trafugato dai crociati durante il saccheggio del 1204. Non sono mai stati veramente chiariti i rapporti tra il Mandylion edessano e altre due immagini-reliquia celebri nel medioevo, la «Veronica» di Roma e la Sindone di Torino. Esse rientrano tutte comunque nel nòvero delle immagini cosiddette «acherotipe», vale a dire non dipinte da mano umana. Altre immagini di analogo tipo sono il Sudario di Oviedo in Spagna e il Santo Volto conservato a Genova nella chiesa di San Bartolomeo degli Armeni.
Ma la fama di «Santa Immagine» del Cristo ebbero presto anche alcuni crocifissi, la venerazione dei quali sembra essere sorta attorno al X secolo: quello di Beirut, detto «di Nicodemo», al centro di un famoso miracolo del Santo Sangue; quello detto «di Sirolo» venerato a Numana; e infine il Santo Volto lucchese, caratterizzato da un’immagine del Cristo «tunicato» e incoronato, che secondo la leggenda sarebbe miracolosamente approdato al porto di Luni per essere trasportato a Lucca nel corso dell’XI secolo.
Alla fine di quel medesimo secolo si disse grazie alle indicazioni di un reduce dalla prima crociata all’interno del Santo Volto furono rinvenute alcune preziose reliquie. Il Santo Volto al quale Geza de Francovich attribuì un’origine artistica siriaca divenne il «palladio» di Lucca e la mèta di prestigiosi pellegrinaggi. Alla serie di queste immagini del crocifisso, del tipo conosciuto come «di Nicodemo», appartiene anche il crocifisso di Sansepolcro, esso stesso mèta di pellegrinaggi.
Secondo la recente notizia diffusa da Anna Maria Maetzke, stando a un documento del 1179 da lei scoperto, il crocifisso di Sansepolcro sarebbe il prototipo ritenuto perduto e del quale l’immagine lucchese da tempo venerata sarebbe copia. Già il de Francovich e la Belli Barsali avevano avanzato l’ipotesi che il crocifisso lucchese fosse in realtà una copia, ma la tesi prevalente era che tale dovesse semmai essere il biturgense.
La scoperta di Anna Maria Maetzke è di straordinaria importanza: e i dati di laboratorio dalla studiosa esibiti, insieme con le considerazioni filologico-stilistiche da essa proposti, parrebbero confermati in modo convincente. La cessione del crocifisso lucchese ai camaldolesi di Sansepolcro sarebbe avvenuta il 29 maggio (IIII kalendas junii: non 4 giugno, com’è stato scritto erroneamente) del 1179, stando al documento del quale però la Maetzke non ha ancora rivelato la collocazione. Prudenza richiede comunque che il giudizio resti per ora sospeso, in attesa di poter esaminare il documento che appare provvisto di signum tabellionis, ma inserito in un registro. Di una translatio della venerata immagine da Lucca a Sansepolcro non è restata notizia: e il prezzo di settanta denari, pari a meno di sei soldi d’argento (cioè a poco più di 100 grammi di metallo prezioso in tutto), appare davvero irrisorio. Perché i lucchesi avrebbero dovuto disfarsi, per un prezzo di questo tipo, d’un’immagine tanto illustre anche se magari in un periodo di calo del suo culto? In attesa di verificare sul documento, l’ipotesi di un falso teso ad accreditare la fama di Sansepolcro non può essere scartata, per quanto ad essa osti il fatto che il possesso dell’immagine lucchese non pare fosse mai dai biturgensi rivendicato. E allora?
Anna Maria Maetzke è studiosa troppo prudente e avveduta per abbracciare incaute e precipitose ipotesi. Confidiamo in lei felicitandoci per una scoperta che si annunzia sul serio straordinaria; e rispetto alla quale il necessario diretto esame del documento consentirà di sciogliere, ci auguriamo, le doverose ultime riserve.