Volterra

Volterra: ogni parrocchia prega per un carcerato

L’iniziativa promossa dal cappellano del carcere don Paolo Ferrini

Don Paolo Ferrini guida la Via Crucis davanti al carcere di Volterra


La preghiera di 100 tra parrocchie e comunità religiose per 100 detenuti: è l’iniziativa portata avanti, in vista del Giubileo, dal cappellano del carcere di Volterra don Paolo Ferrini, che già nell’anno della Misericordia aveva affidato ciascun detenuto a diverse realtà della diocesi e non solo.
Un’ottantina le parrocchie coinvolte dal novembre scorso e venti le comunità religiose maschili e femminili. «Viene indicato il nome proprio del detenuto e pochissime altre informazioni, per tutelare la privacy di ciascuno – spiega don Ferrini –. Suggerisco, poi, delle preghiere dei fedeli e dei rosari da offrire per intenzioni particolari». Si chiede di pregare per la persona in carcere, per la sua famiglia, che per venire ai colloqui deve, a volte, fare viaggi anche molto lunghi, e per le vittime dei reati commessi: «Il nostro ordinamento fa ben poco per loro – commenta il sacerdote –. Sarebbe importante, però, mettere al centro sempre più una giustizia riparativa, che non lasci indietro nessuno».
Anche il 22 giugno, memoria liturgica di san Giuseppe Cafasso e giornata diocesana di preghiera per il carcere, è un’occasione per portare il proprio sostegno alle persone che stanno scontando una pena e a chi si fa loro prossimo. «Nelle parrocchie – dice don Ferrini – vengono celebrate delle Messe per i carcerati, mentre in carcere accade il contrario: preghiamo per le parrocchie». «I detenuti sanno di quest’iniziativa, ma non sanno quale parrocchia prega per ciascuno» continua. In più, per far crescere il legame con la diocesi «ogni domenica un sacerdote diverso mi accompagna a celebrare l’Eucarestia e insieme, ogni domenica, preghiamo per una parrocchia diversa».
Il carcere di Volterra, per altro, è un luogo già molto legato alle realtà esterne: «È proprio dentro alla città e non ha grandi bisogni di tipo “materiale”, come può accadere altrove. Non ci sono suicidi da anni né eventi critici, come risse o violenze. Risente del pessimo clima dei carceri italiani di questo periodo, ma è uno dei migliori 15 del nostro Paese» spiega. È grazie a un lavoro di attenzioni trentennale che così «i detenuti rimangono in cella sono per dormire e per mangiare» racconta. Tra le tante cose, infatti, «si fa teatro, si cura l’orto si studia per prendere il diploma superiore al liceo artistico, alla scuola alberghiera e all’agrario, si seguono corsi universitari, si sostengono gli esami e ci si laurea in modalità online. Ma si hanno contatti anche con persone esterne e si fa pet therapy in collaborazione con case di riposo». «Mi sono impegnato allora nel creare un legame che aiutasse tutto il percorso del carcere, perché – sottolinea don Ferrini – da lì la maggior parte delle persone un giorno uscirà. Sta a noi decidere come vogliamo che escano: uomini e donne migliori o più incattiviti». E in questo la preghiera gioca un ruolo importante.
«Negli anni ne ho visto i segni» dice, raccontando di aver affidato anche alle Clarisse di Cortona tre nomi di detenuti a settimana per l’anno della Misericordia. «Ho notato un clima diverso, più improntato alla speranza e alla fiducia». E molte «pagine di vita» sono state riscritte, come quelle di «ragazzi entrati in carcere per reati commessi da giovanissimi e ora, in libertà, sono stati accolti dal territorio e hanno iniziato a costruire una famiglia, consapevoli del male commesso allora e gioiosi di poter lavorare con semplicità» o quella di un ergastolano che «dopo 30 anni di carcere ha ottenuto la liberazione condizionale – racconta il sacerdote –. Aveva fatto un periodo di lavoro in stato di semilibertà nella mia parrocchia e, amato da tutti, è stato accompagnato dai parrocchiani verso l’uscita. Ha avuto l’opportunità di conoscere di persona anche le monache di Cortona che avevano pregato per lui». Il sogno di don Ferrini, ora, «sarebbe di partecipare con un gruppo di detenuti a una Messa in parrocchia per il Giubileo». «È un momento da curare perché venga gestito bene da loro – spiega –. Vanno aiutati a capire il senso dell’iniziativa». Nel frattempo, «anche nella mia parrocchia ho visto nascere e crescere un’attenzione per il carcere», che insegna, per il cappellano, «a credere nella possibilità di ciascuno di rialzarsi e guarire grazie alla Misericordia e a credere che questo possa avvenire per tutti!».