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Vocazioni, se i giovani non sentono la chiamata
Nel Vangelo di Matteo, Gesù pone invece in evidenza l’atteggiamento di chi, trovando il tesoro in un campo, vende subito i suoi averi e compra quel campo; e così il mercante che avendo trovato la perla preziosa, vende tutto pur di possedere quella (Mt 16,44-46). Con queste similitudini Gesù intende descrivere l’atteggiamento nei confronti del Regno di Dio. In realtà il Regno è Gesù stesso che viene a trasfigurare la nostra vita, e l’incontro con Lui è simile a questi colpi di fortuna qui descritti, straordinariamente vantaggiosi, un capitale che può veramente cambiare tutta la vita: è questa la ragione che impone scelte radicali ed immediate.
La prima parola che risuona con insistenza in entrambi le parabolette è il verbo comprare. Indica la decisione di rischiare tutto, pur di non lasciarsi sfuggire questa incredibile occasione: solo un folle potrebbe attendere una seconda occasione. Il pericolo di perdere il tesoro è troppo grande ed è dunque necessario mettersi subito in gioco.
Accanto al comprare c’è il mettersi in movimento e il vendere tutto. Indica la necessità di un impegno totale, il cui risultato è la «pienezza della gioia»: diceva don Milani che «essere cristiani è una fortuna, non un obbligo». Così anche l’essere chiamati è una fortuna, non un obbligo. Gesù ci indica dunque un’ottica ed un pensiero autenticamente realistici: sacrificare quello che si ha oggi per avere molto di più. In questo caso non vale la prudenza, che anzi va abbandonata, perché coinciderebbe esattamente con la mancanza di realismo. Se non si vuole «trasformare Gesù in un Mosè all’ennesima potenza», come diceva Lutero, occorre saper cogliere questa dimensione del dono incredibile, gratuito, straordinario, che è l’incontro con Gesù, di fronte al quale tutto impallidisce, e per il quale nessun prezzo appare troppo alto: è l’incontro che deve sopraffare e avere la forza di orientare tutta la vita, a qualunque prezzo.
Il testo del documento Nuove vocazioni per una nuova Europa descrive bene questa grande difficoltà a «decidersi» che oggi blocca soprattutto i giovani; problema che investe tutte le vocazioni: «Una cultura pluralista e complessa tende a generare dei giovani con una identità incompiuta e debole con la conseguente indecisione cronica di fronte alla scelta vocazionale. Molti giovani non hanno neppure la grammatica elementare dell’esistenza, sono dei nomadi: circolano senza fermarsi a livello geografico, affettivo, culturale, religioso, essi «tentano»! In mezzo alla grande quantità e diversità delle informazioni, ma con povertà di formazione, appaiono dispersi, con poche referenze e pochi referenti. Per questo hanno paura del loro avvenire, hanno ansia davanti a impegni definitivi e si interrogano circa il loro essere. Se da una parte cercano autonomia e indipendenza ad ogni costo, dall’altra, come rifugio, tendono a essere molto dipendenti dall’ambiente socio culturale e a cercare la gratificazione immediata dei sensi: di ciò che mi va, di ciò che mi fa sentire bene in un mondo affettivo fatto su misura. Fa immensa tristezza incontrare giovani senza vocazione, ma anche senza futuro, o con un futuro che, tutt’al più, sarà una fotocopia del presente». (n. 11c)
Anche l’esperienza dell’ultimo incontro dei giovani a Colonia sembra dare ragione a questa intuizione. Paradossalmente proprio le condizioni precarie e disagevoli sembrano aver favorito l’emergere di ciò che veramente conta, di ciò che è essenziale: nulla ha impedito ai nostri ragazzi il bisogno di manifestare la gioia della loro fede, la forza del loro entusiasmo, la voglia di pregare e di solidarizzare con tutti. Tutto questo ci interroga allora sulla nostra quotidiana prassi pastorale e educativa: quello che accade e si realizza in una giornata mondiale della gioventù non è capace di ricaduta e di continuità nelle nostre parrocchie, nei gruppi, nelle associazioni, nei movimenti in una parola, nei progetti della nostra pastorale giovanile?
Un altro interlocutore forte sono i luoghi dove si formano i giovani a scelte di vita totalmente dedicate alla causa di Cristo e del Vangelo: sono le case di formazione alla vita consacrata e, in un modo del tutto particolare, i nostri Seminari diocesani, ma anche quei luoghi pedagogici della fede costituiti dai gruppi, dai movimenti, dalle associazioni e dalla stessa scuola. «In questo delicato passaggio, da una pastorale vocazionale delle esperienze a una pastorale vocazionale dei cammini, è necessario far parlare non soltanto gli appelli vocazionali provenienti dagli itinerari che attraversano la vita feriale della comunità cristiana, ma è sapiente rendere significativi i luoghi-segno della vita come vocazione e i luoghi pedagogici della fede». Questi luoghi non possono non essere considerati come soggetti privilegiati di pastorale vocazionale e con essi è importante condividere una speciale attenzione ai giovani e una comune progettualità.
Sono alcune intuizioni che il Centro Regionale Vocazioni sta cercando di verificare insieme alla Pastorale Giovanile e Familiare della Toscana per ottenere il «salto di qualità», ossia individuare le modalità di una nuova collaborazione che ottenga la possibilità di una «nuova riflessione sulla vocazione e sulle vocazioni, sulla cultura e sulla pastorale vocazionale e proporre al tempo stesso un «sussulto» idoneo ad aprire stagioni nuove nelle nostre Chiese».
Messaggio di Benedetto XVI per la 43ma Giornata delle vocazioni