Opinioni & Commenti

Vocazioni, se i giovani non sentono la chiamata

di Franco Brogidirettore del Centro regionale vocazioniGrazie al contributo di una Lectio Divina che mons. Roberto Filippini, biblista e Rettore del Seminario di Pisa, offrì alcuni mesi or sono al Centro Regionale Vocazioni, è partito un confronto che ha tentato di porsi alcuni interrogativi e individuare alcune tracce di percorso per i Centri Diocesani Vocazioni di Toscana.

Nel Vangelo di Matteo, Gesù pone invece in evidenza l’atteggiamento di chi, trovando il tesoro in un campo, vende subito i suoi averi e compra quel campo; e così il mercante che avendo trovato la perla preziosa, vende tutto pur di possedere quella (Mt 16,44-46). Con queste similitudini Gesù intende descrivere l’atteggiamento nei confronti del Regno di Dio. In realtà il Regno è Gesù stesso che viene a trasfigurare la nostra vita, e l’incontro con Lui è simile a questi colpi di fortuna qui descritti, straordinariamente vantaggiosi, un capitale che può veramente cambiare tutta la vita: è questa la ragione che impone scelte radicali ed immediate.

La prima parola che risuona con insistenza in entrambi le parabolette è il verbo comprare. Indica la decisione di rischiare tutto, pur di non lasciarsi sfuggire questa incredibile occasione: solo un folle potrebbe attendere una seconda occasione. Il pericolo di perdere il tesoro è troppo grande ed è dunque necessario mettersi subito in gioco.

Accanto al comprare c’è il mettersi in movimento e il vendere tutto. Indica la necessità di un impegno totale, il cui risultato è la «pienezza della gioia»: diceva don Milani che «essere cristiani è una fortuna, non un obbligo». Così anche l’essere chiamati è una fortuna, non un obbligo. Gesù ci indica dunque un’ottica ed un pensiero autenticamente realistici: sacrificare quello che si ha oggi per avere molto di più. In questo caso non vale la prudenza, che anzi va abbandonata, perché coinciderebbe esattamente con la mancanza di realismo. Se non si vuole «trasformare Gesù in un Mosè all’ennesima potenza», come diceva Lutero, occorre saper cogliere questa dimensione del dono incredibile, gratuito, straordinario, che è l’incontro con Gesù, di fronte al quale tutto impallidisce, e per il quale nessun prezzo appare troppo alto: è l’incontro che deve sopraffare e avere la forza di orientare tutta la vita, a qualunque prezzo.

Allora ci interroghiamo: come accorgersi e come accogliere il dono che il Signore sta offrendo. Perché il rischio più grande è proprio quella distrazione che ti impedisce di renderti conto, di accorgerti del Suo passaggio, della Sua iniziativa, della Sua proposta. «Temo il Signore che passa»… dice Sant’Agostino. Gesù si sofferma tante volte sulla necessità di questa attenzione, di questa vigilanza. E a questo proposito sembra venirci incontro un altro testo, quello di Luca al capitolo 7, versetto 31. È la parabola dei bambini capricciosi, tra le più certe dal punto di vista storico, che stigmatizza la reazione dei contemporanei di Gesù, che sono critici sia col Battista, sia con Gesù stesso. Ma cosa vogliono dunque? Il problema è non saper capire e non saper scegliere quello che conviene al momento giusto. I bambini non sono stati al gioco, non si sono messi in gioco. Non hanno risposto alle provocazioni: non hanno ballato, non hanno cantato il lamento. Bisogna imparare a stare al gioco di Dio, e per questo occorrono occhi e cuore aperti.

Il testo del documento Nuove vocazioni per una nuova Europa descrive bene questa grande difficoltà a «decidersi» che oggi blocca soprattutto i giovani; problema che investe tutte le vocazioni: «Una cultura pluralista e complessa tende a generare dei giovani con una identità incompiuta e debole con la conseguente indecisione cronica di fronte alla scelta vocazionale. Molti giovani non hanno neppure la grammatica elementare dell’esistenza, sono dei nomadi: circolano senza fermarsi a livello geografico, affettivo, culturale, religioso, essi «tentano»! In mezzo alla grande quantità e diversità delle informazioni, ma con povertà di formazione, appaiono dispersi, con poche referenze e pochi referenti. Per questo hanno paura del loro avvenire, hanno ansia davanti a impegni definitivi e si interrogano circa il loro essere. Se da una parte cercano autonomia e indipendenza ad ogni costo, dall’altra, come rifugio, tendono a essere molto dipendenti dall’ambiente socio culturale e a cercare la gratificazione immediata dei sensi: di ciò che “mi va”, di ciò che “mi fa sentire bene” in un mondo affettivo fatto su misura. Fa immensa tristezza incontrare giovani…senza vocazione, ma anche senza futuro, o con un futuro che, tutt’al più, sarà una fotocopia del presente». (n. 11c)

Appare chiaro che sul fatto vocazionale corre il crinale che distingue il «pensiero di Cristo», per usare il linguaggio paolino, dalla «sapienza del mondo», ossia la mentalità comune, il buon senso, ma anche quella cultura dominante segnata dalla «dittatura del relativismo», come ha detto papa Benedetto XVI, e che ha ben poco a che fare con il Vangelo. Un crinale talvolta sottile, ma comunque decisivo.Un crinale che investe soprattutto i giovani che sembrano vivere talvolta situazioni di profonda divisione interiore ed esistenziale: spesso abbiamo davanti giovani immersi nelle dinamiche di una società materialistica, consumistica, relativistica, appunto, ma che al tempo stesso mostrano segni che indicano un bisogno profondo di trascendenza, di verità, di spiritualità, di fraternità, di gioia. È urgente intercettare questi segni, e riuscire a tradurli in prassi educativa. Segni che emergono soprattutto quando si realizzano condizioni e luoghi che favoriscono il liberarsi di queste esigenze profonde, nascoste, ma presenti nel cuore dei giovani.

Anche l’esperienza dell’ultimo incontro dei giovani a Colonia sembra dare ragione a questa intuizione. Paradossalmente proprio le condizioni precarie e disagevoli sembrano aver favorito l’emergere di ciò che veramente conta, di ciò che è essenziale: nulla ha impedito ai nostri ragazzi il bisogno di manifestare la gioia della loro fede, la forza del loro entusiasmo, la voglia di pregare e di solidarizzare con tutti. Tutto questo ci interroga allora sulla nostra quotidiana prassi pastorale e educativa: quello che accade e si realizza in una giornata mondiale della gioventù non è capace di ricaduta e di continuità nelle nostre parrocchie, nei gruppi, nelle associazioni, nei movimenti… in una parola, nei progetti della nostra pastorale giovanile?

Di qui l’urgenza, probabilmente, di una nuova riflessione che si interroghi seriamente se i luoghi che offriamo ai nostri giovani siano luoghi educativi reali e luoghi liberanti, capaci di condurre ad una vera guarigione interiore, all’incontro con Cristo, alla maturità della fede e al senso di una appartenenza gioiosa e responsabile.Ma accanto a questo l’attenzione si rivolge subito agli educatori, agli animatori della pastorale giovanile, sui quali è senz’altro necessario operare un nuovo investimento in ordine alla loro formazione: c’è bisogno di persone che siano capaci di liberare quella gioia che vuole esplodere ed uscire fuori dal cuore dei nostri giovani. O almeno capaci di ascoltare, cercare di capire, di imparare, ma mai essere di ostacolo alle spinte dello Spirito Santo. Cercando di riferire questa riflessione all’attività e al servizio dei Centri Diocesani Vocazioni di Toscana, ci siamo posti un problema fondamentale: quali sono allora gli interlocutori privilegiati nelle nostre Chiese? Ci è sembrato innanzitutto di non poter sfuggire al confronto e al dialogo serrato con gli educatori alla fede, a cominciare dai genitori, i catechisti, e tutti coloro che comunque hanno deciso di giocarsi con i giovani. Appare sempre più chiaro che la pastorale vocazionale è il caso serio della pastorale odierna, dal momento che «dire vocazione significa dire dimensione costitutiva ed essenziale della stessa pastorale ordinaria» («Nuove vocazioni per una nuova Europa», 26). Ma se tutta la pastorale è vocazionale, in un modo particolare lo è quella giovanile. Nostri interlocutori privilegiati, dunque, sono tutti coloro che si interessano alla pastorale giovanile e all’educazione dei giovani alla fede. Ma dove e come è possibile favorire ulteriormente questo dialogo, questa collaborazione, sia a livello diocesano, sia a livello regionale? Quali passi possiamo fare?

Un altro interlocutore forte sono i luoghi dove si formano i giovani a scelte di vita totalmente dedicate alla causa di Cristo e del Vangelo: sono le case di formazione alla vita consacrata e, in un modo del tutto particolare, i nostri Seminari diocesani, ma anche quei luoghi pedagogici della fede costituiti dai gruppi, dai movimenti, dalle associazioni e dalla stessa scuola. «In questo delicato passaggio, da una pastorale vocazionale delle esperienze a una pastorale vocazionale dei cammini, è necessario far parlare non soltanto gli appelli vocazionali provenienti dagli itinerari che attraversano la vita feriale della comunità cristiana, ma è sapiente rendere significativi i luoghi-segno della vita come vocazione e i luoghi pedagogici della fede». Questi luoghi non possono non essere considerati come soggetti privilegiati di pastorale vocazionale e con essi è importante condividere una speciale attenzione ai giovani e una comune progettualità.

Sono alcune intuizioni che il Centro Regionale Vocazioni sta cercando di verificare insieme alla Pastorale Giovanile e Familiare della Toscana per ottenere il «salto di qualità», ossia individuare le modalità di una nuova collaborazione che ottenga la possibilità di una «nuova riflessione sulla vocazione e sulle vocazioni, sulla cultura e sulla pastorale vocazionale e proporre al tempo stesso un «sussulto» idoneo ad aprire stagioni nuove nelle nostre Chiese».

Messaggio di Benedetto XVI per la 43ma Giornata delle vocazioni

Giornata per le vocazioni, veglie in tutte le diocesi