Vita Chiesa
Vocazioni, come vincere la paura
Recentemente la Conferenza episcopale toscana ha commissionato al coordinatore dei seminari della regione, mons. Roberto Nelli (rettore del seminario di Grosseto) un’indagine statistica sui dati relativi ai seminaristi delle nostre diocesi. Il quadro che ne emerge, anche se molto variegato, non è certo dei migliori. Se infatti in media la Toscana ha 1639 abitanti per ogni sacerdote, il numero degli abitanti per ogni seminarista sale a 23.571 ed è evidente come sia del tutto insufficiente a permettere quantomeno un «ricambio naturale» del clero. In valore assoluto, ai 2196 sacerdoti diocesani presenti in Toscana si contrappongono infatti appena 151 seminaristi, 36 dei quali ospitati da seminari esterni alla propria diocesi. Ma ancor più eloquente, a questo proposito, è il rapporto tra preti ordinati e defunti nel corso dell’anno 2001, pari a 32 contro 74.
Per completezza d’informazione, c’è infine da tener presenti altri dati non riportati in tabella: Firenze, Massa Carrara-Pontemoli e Massa Marittima Piombino hanno ciascuna anche due seminaristi minori, per un totale di sei in tutta la Toscana, mentre 40 sono complessivamente gli stranieri ospitati nei nostri seminari. (M.L.)
DI CHIARA DOMENICI
I dati resi noti dall’indagine del coordinatore dei seminari della Toscana rivelano non solo il momento attuale, ma una linea di tendenza», esordisce monsignor Diego Coletti, vescovo di Livorno e delegato della Conferenza Episcopale Toscana per le vocazioni, da noi interpellato per un commento a quanto emerso. E spiega: «La situazione non è in crescita però neppure in calo, anche se in termini di risultati auspicabili possiamo considerare la nostra regione ai minimi storici. Ma la Toscana non vive certo questo momento da sola: tutta l’Italia del centro nord purtroppo sperimenta il calo delle vocazioni ed in particolare l’Umbria. Al sud invece sembrano riscontrare una fase di ripresa anche se molto lenta».
A cosa si può ricondurre questo calo?
«È difficile imputare la diminuzione delle vocazioni ad un’unica causa. Certo la secolarizzazione degli ultimi anni ha messo in secondo piano quei valori tipici propri delle scelte radicali. Alcuni seminari, con una tradizione più forte alle spalle (le diversità tra i seminari a volte sono profonde) sono rimasti in piedi, per altri è stato più faticoso. Naturalmente le città più grandi ne hanno risentito di più, laddove l’aggregazione giovanile è meno significativa e più dispersa».
Ma quale potrebbe essere la soluzione a questo problema?
«Non esistono ricette preconfezionate. Secondo me per realizzare una buona pastorale vocazionale occorre innanzitutto puntare su una buona pastorale giovanile, che sia costruttiva, continuativa e non episodica, efficace nei confronti delle giovani generazioni e soprattutto organica. È poi il carattere convincente della vita dei preti e dei consacrati ad essere la dimostrazione più evidente e bella della gioia di un rapporto particolare con Dio. Ogni vocazione religiosa ha alle spalle una relazione interpersonale con altri religiosi. È difficile incontrare vocazioni maturate nella solitudine, la maggior parte sono mediate da una figura umana, da un dialogo interpersonale che chiarisce e aiuta ad ascoltare la chiamata di Dio e ad intraprendere la scelta».
Secondo lei certe pubblicità o certi programmi televisivi in cui preti, suore o religiosi vengono messi in ridicolo possono danneggiare la visione di un giovane su queste tematiche?
«Gli esempi che abbiamo sono molto diversi. Se da una parte vediamo queste figure messe in ridicolo dall’altra ne assistiamo anche alla loro valorizzazione; penso a certi personaggi di fiction come la recente Don Matteo, anche se a volte per esaltare si eccede troppo in straordinarietà. C’è da dire che lo stile di vita che si prospetta ai giovani di oggi non è certo uno stile costruttivo e che inviti a compiere scelte decisive. Incontriamo adolescenti con tante qualità, ma con l’animo devastato. Gli esempi che hanno davanti sono legati a criteri di tipo consumistico, modelli effimeri, superficiali ed è in questo quadro che riscontriamo anche i tanti fallimenti matrimoniali. Il vero problema infatti è che, se da una parte manca la vocazione al sacerdozio ed i giovani non si fanno più preti, dall’altra manca anche la vocazione al matrimonio, ma ci si sposa lo stesso. Manca un’educazione alle scelte assolute e la reazione sana a questo imperversare di superficialità è la mancanza di un impegno serio. Tra i giovani purtroppo è diffusa la paura della definitività, e l’unica soluzione è quella di accompagnarli ad attraversare questo momento».
Esiste un metodo per accompagnare i giovani ad attraversare la paura?
«Bisogna educarsi ed educare pazientemente, ma anche esigentemente, a rinnegare se stessi. In un mondo che indica come unica strada da percorrere quella di mettere se stessi al centro di tutto, l’unica strada da insegnare è invece quella di imparare a trascendere se stessi verso il dono incondizionato di sé. È questo l’aspetto più vero della vita».
Sono in programma iniziative per risollevare la Toscana da questo calo?
«Come incaricato per questo settore, in questo periodo sto cercando di ascoltare l’esperienza dei rettori dei seminari toscani e del direttivo del centro regionale vocazioni. Dopodiché uniremo le forze per realizzare anche idee concrete diffondendo in tutta la regione del materiale che aiuti i giovani ad una riflessione più alta, ad approfondire certi valori. In programma poi potrebbe esserci un convegno sull’educazione all’affettività. Stiamo poi elaborando anche l’ipotesi di una presenza su Internet del centro regionale vocazioni: sfrutteremo così un mezzo nuovo per comunicare nuovamente con i giovani».