Cultura & Società
Vittore Branca, la stupenda lezione laica di un cattolico
Il leit motiv della sua esistenza, seducente come una sinfonia, ma persistente come la vena di una dura roccia è la ricerca della verità e della libertà che il giovane e distinto prelato monsignor Giovan Battista Montini, assistente della Fuci, aveva assegnato come vocazione fondamentale ai giovani universitari cattolici.
Nel 1964, già da Papa, celebrando nella Cappella dell’Università di Roma, aveva esortato discenti e docenti con queste audaci parole: «Non temete, prolungate sino al convincimento la vostra vigilia, ma siate onesti sempre, cercate sempre. Se così sarà non vi terrete paghi di uno stato di languida pigrizia, ma spingerete il vostro dubbio sino all’estreme conseguenze». Ancora sette anni dopo nel 1971 ai laureati: «Bisogna aver la virtù d’imporre a se stessi il primato della ragione, dello studio, dell’onestà del pensiero, del silenzio, della critica costruttiva, della concezione resa personale sul mondo degli esseri, degli avvenimenti, dei doveri» e tutto questo in una prospettiva dello Spirito, «Spirito di verità, lo Spirito che la fede ci dice essere il Maestro interiore, lo Spirito di Cristo». Il 26 marzo del 1936 con un semplice biglietto Montini comunicava a Vittore quella che sarebbe stata la regola d’oro della sua vita: «La ricerca ha dignità pari alla preghiera ed è empietà voler sfruttare o strumentalizzare la ricerca a fini diversi». Branca non si distaccherà mai da questo insegnamento. Anche i suoi risultati scientifici conseguiti dopo accanite quanto geniali ricerche si pensi solo alla scoperta del manoscritto di Boccaccio che ne hanno fatto il più grande filologo umanista.
Branca aveva ereditato il tormento montiniano sfogandolo in un superlativo impegno di vita fin quasi agli ultimissimi giorni. Erano diventati sempre più rari gli uomini pellegrini dell’Assoluto. Il primato dell’anima, la grande acquisizione della civiltà classica e cristiana sembra soppiantato, agli occhi di Montini, dallo scientismo e dal mito materialistico del benessere e della ricchezza. Branca aveva interiorizzato l’esempio e l’insegnamento di Montini, facendone proprie tutte le implicite conseguenze.
I perspicui risultati raggiunti nella ricerca da Branca se sono innegabilmente frutto di una grande intelligenza lo sono anche per una certa ascesi che ha sempre salvaguardato le sue scelte.
La sede dell’editrice Le Monnier a Firenze si entrava da via San Gallo e si usciva da via Santa Reparata nascondeva le carte del Comitato di liberazione e permetteva nei suoi scantinati di stampare i fogli inneggianti alla liberazione e alla resistenza. Uscì anche «La Punta», foglio dei giovani democristiani con l’editoriale di Branca (ovviamente non firmato) «Parole ai giovani».
La Pira, intanto, dopo una sosta nel senese in casa Mazzei per sfuggire ai tedeschi si era rifugiato in Vaticano da monsignor Montini. Ritornerà a Firenze liberata e intraprenderà quel «colloquio sui poveri» che lo porterà sulle ali del loro voto ad essere il primo cittadino di Firenze. Ma anche in Giorgio La Pira ciò che Branca privilegiava era la sua ricerca di verità diventata per le lunghe ore di preghiera contemplazione e dono ai poveri nelle omelie domenicali di San Procolo.
Montini e La Pira hanno costituito nella ricerca dello splendore della verità, insieme ad altri certamente, ma non in maniera così eminente, la vena d’acqua sorgiva cui ha attinto con venerazione ma con franchezza e a fronte alta la sete di sapere del giovane professore Branca. Ma chi l’ha spinto al largo, favorito dal vento di queste rassicuranti e feconde amicizie, è stata la chiamata a Venezia del senatore Vittorio Cini che intuendo il valore di quell’intelligenza, affidò a Vittore Branca la fondazione in memoria del figlio Giorgio. In poco tempo Venezia, grazie alla Fondazione Cini, divenne la sede regale per il dialogo interculturale, interetnico, interreligioso, ospitando con ritmo inesausto nei molteplici convegni le personalità più attente alla evoluzione storica della nostra civiltà.