Cultura & Società
Vita in monastero, in clausura per curare l’anima degli uomini
A colloquio con Madre Stefania, abbadessa da 21 anni dell'abbazia benedettina di Santa Maria di Rosano, alle porte di Firenze, dove arrivò 56 anni fa

Ci riceve nel terzo parlatorio, l’ultimo a destra che si incontra entrando dal portone del convento. Nessuna grata nella stanza che profuma di pulito. Solo un tavolo, due sedie. Ci accomodiamo in attesa che la porta che ci separa dalla clausura si apra. Madre Stefania, abbadessa dell’abbazia benedettina di Santa Maria di Rosano, alle porte di Firenze, nel comune di Rignano sull’Arno e in diocesi di Fiesole, varca la soglia con il sorriso festoso e accogliente di chi ha soprattutto la giovinezza del cuore, disponibile a dialogare con noi. Torinese di origine, è qui da 56 anni e da 21 è madre abbadessa. «Questo monastero – spiega – è del 780 avanti al mille. E, cosa particolare, sempre ci sono state le monache. Battagliere, tenaci, hanno resistito alle varie soppressioni e minacce di chiusura a partire da quella di Napoleone».
Madre Stefania, voi avete una fama di essere molto rigide. Perché è così difficile, anche rispetto ad altre clausure, entrare nel monastero di Rosano?
«Lo so, abbiamo questa fama, ma noi semplicemente osserviamo la Regola di san Benedetto. Sembra che facciamo chissà che cosa, ma noi abbiamo deciso solo di vivere la Regola come scritta. Perché san Benedetto, che vive tra il IV e il V secolo, ha una modernità che non viene quasi mai riconosciuta e nella Regola dice proprio che dobbiamo avere tutto dentro, per non avere occasione di andare vagando. E il monastero dentro è un paese. Ora che arrivi dappertutto, hai fatto chilometri, non c’è bisogno di fare la corsettina, o fare jogging. Per andare dal coro al refettorio, si dicono due decine del rosario».
Quindi voi non uscite mai dal monastero?
«Non usciamo mai se non per le cose indispensabili, per motivi di salute, con buon senso, per le emergenze. Io poi sono rappresentante legale e presidente di una congregazione di monasteri, quindi talvolta serve che esca. Non è che una piglia, esce, va a fare una passeggiata. Ci vuole una motivazione particolare».
Madre, a cosa serve la clausura? Farsi suora va bene ma proprio monaca di clausura per molti è difficile da comprendere…
«Intanto bisogna vedere cos’è essenziale nel mondo. Cos’è più importante nell’uomo, il corpo o l’anima? E allora cosa si può fare per arrivare a tutte le anime? La monaca. Dare tutto e che il Signore usi questo tutto per arrivare a lui. In clausura curiamo l’anima e ci preoccupiamo di arrivare a tutti e alla totalità di tutti».
Il monastero è inaccessibile per gli esterni?
«In monastero non si entra. Possono venire una volta al mese i parenti a trovare le monache in parlatorio. Si possono fare anche delle visite alla chiesa e per questo a volte vengono anche delle scuole. Ogni anno la processione del Corpus Domini è l’occasione per entrare nel chiostro, nel giardino, nella parte bassa del monastero. Ma non dentro».
Fioriscono a Rosano le vocazioni?
«Sì, adesso su un totale di 43 monache, abbiamo sette novizie – la più giovane ha quasi vent’anni – di cui due slovacche. La monaca più anziana ha 101 anni compiuti il 24 gennaio. Tra le monache più anziane ce ne sono alcune che hanno fatto solo le elementari. Quelle che entrano adesso hanno una laurea, a volte due o tre. Seguo una per una le novizie, grazie a Dio hanno molta confidenza con me».
Com’è nata la sua vocazione?
«Io volevo fare il medico missionario. Una cosa l’avevo capita: che il Signore per me doveva essere la persona più importante. Però, dicevo, mai suora, men che meno monaca. Una volta con delle amiche andammo al monastero benedettino di Praglia, nella campagna padovana. Allora non conoscevo minimamente la spiritualità benedettina. E lì notai in un angolo un monaco che stava pregando, lodando e ringraziando Dio. Ci siamo tornate un’altra volta e nel negozietto del monastero comprai una Regola. L’ho letta e ho detto: questo è Vangelo puro. Senza sovrammettiture. Senza fantasie. Senza niente. Quindi, mi sono detta, se vuoi una spiritualità così che non trovi da nessuna parte, l’hai trovata. Sentivo il bisogno di approfondire alcune cose e mi tornò in mente il monachino che pregava. Gli telefonai e presi un appuntamento. Fu lui a indicarmi il monastero di Rosano dove arrivai il 2 giugno del 1969».
Com’è la giornata tipo delle monache a Rosano?
«Ci si alza alle quattro, alle quattro e mezzo si va in coro per l’Ufficio divino praticamente fino a un quarto alle sei, poi c’è un quarto d’ora di intervallo, poi si torna in coro dalle sei fino a un quarto alle otto per l’ufficio, la Messa, la meditazione. Poi si va al refettorio per la colazione. Negli intervalli, anche dopo la Messa, ognuno ha un pezzo di casa da pulire, perché la casa è enorme. Ma non è sempre lo stesso pezzo, per non rischiare che diventi “il mio pezzo”. Alle 8 e un quarto inizia il lavoro, fino alle 11 e un quarto, poi si torna in coro, dalle 11 e mezzo fino a mezzogiorno c’è l’ora di sesta e un altro po’ di preghiera personale, poi si mangia, con i turni di chi serve, di chi legge a tavola, chi lava i piatti, eccetera. Chi vuole può anche andare un po’ a riposare, poi si ritorna in coro alle due e 10, ora nona, si torna a lavorare, alle 5 del pomeriggio ricreazione, 40 minuti in cui si parla tutte insieme poi, vespro, di nuovo preghiera, cena, una lettura, compieta, poi si va a letto. Io partecipo il più possibile a tutti i momenti comuni ma devo dedicarmi anche ad altro».
San Benedetto diceva «Ora et labora» e voi in monastero portate avanti delle attività importanti…
«Abbiamo il laboratorio di restauro di codici antichi, di ricamo e di restauro di ricami antichi e anche uno di ceramica. Facciamo anche l’amaro d’erbe e la china con ricette antiche. Lavoriamo con gare d’appalto con tanto di preventivi, collaudi in corso d’opera e finali. Siamo noi a occuparci di tutta la parte amministrativa, di contabilità e abbiamo una quarantina di computer che vengono utilizzati solo per motivi di lavoro».
Qual è il vostro rapporto con la tv, con l’informazione e i social?
«Non abbiamo la tv, grazie a Dio, e neanche la radio, niente fb e social però non c’è notizia che noi non sappiamo, perché io leggo i giornali e poi riferisco e condivido con le monache».
Il cardinale Joseph Ratzinger prima di diventare Papa di tanto in tanto veniva a Rosano. Cosa ricorda di lui?
«Oggi sembra quasi che più parole si dicono, più difficile si parla e più si è bravi. Ecco non si può dire che ci fosse una persona più istruita, più sapiente del cardinal Ratzinger. Prima di andare via la domenica pomeriggio, veniva un’ora in sala di comunità a parlare a tutte le monache. Lo capivano tutte, mentre lui ci faceva il resoconto dei problemi principali della Chiesa. Quando era prefetto della congregazione per la dottrina della fede, lui spiegava chiaramente anche cose difficili ed era comprensibile a tutte. Lo dico sempre alle monache: farsi capire da tutti non significa sminuire o rendere banale ciò che si dice».