Toscana

VINO, BRUNELLO: BOCCHE CUCITE MA CONSORZIO DIVISO, 3.000 ADDETTI IN SETTORE

Consegna del silenzio e una parola d’ordine: “Siamo vittime del terrorismo mediatico”. E’ quel che i produttori dicono al termine della riunione – informale, come ha precisato il presidente del Consorzio Francesco Marone Cinzano – che si è tenuta oggi a Montalcino tra i produttori di Brunello per discutere dell’inchiesta della magistratura sulle presunte violazioni del disciplinare di produzione e sulla controffensiva mediatica da mettere in campo. Ma il fronte, al di là delle dichiarazioni ufficiali, scarnissime, è incrinato. Anche l’operato del Consorzio sarebbe stato criticato. Uno dei produttori più tradizionalisti, Gianfranco Soldera, ha affidato ad un blog la sua posizione con cui contesta la riunione di oggi – perché non indetta con 48 ore di anticipo secondo statuto – e chiede al Consorzio di sospendere i produttori indagati. La discussione sull’opportunità o meno di mitigare la rigidità del disciplinare di produzione del Brunello consentendo l’uso di uve non Sangiovese in una piccola percentuale, da anni vivace ma nell’alveo degli addetti ai lavori, oggi rischia di deflagrare. Soldera diffida il Consorzio dal prendere qualunque decisione in merito. Ufficialmente, tutti dicono di non voler toccare il disciplinare. Ma il fronte, ammettono alcuni produttori, è tutt’altro che compatto. Le ragioni del mercato che chiede, soprattutto negli Usa, un Brunello più “gentile” al palato sono forti. Intanto, per rispondere al “terrorismo mediatico” che, secondo il Consorzio, ha mischiato le presunte irregolarità del Brunello con le inchieste su ben più gravi sofisticazioni di altri vini, i produttori si apprestano, dice il presidente del Cinzano, ad avviare una “controffensiva di informazione”. “Non si metta in discussione la reputazione del nostro Paese e del nostro vino parlando di adulterazione e minaccia per la sicurezza del consumatore senza sapere quello che si afferma: non esiste nulla di ciò”, recita il comunicato del Consorzio, presentato come unica posizione dei produttori. “Non accettiamo speculazioni mediatiche – afferma il Consorzio – che potrebbero essere ben gradite e cavalcate dai nostri produttori competitor nel mondo. Noi coltiviamo viti e vigneti, non la cultura del sospetto, e non vorremmo mai cambiare mestiere”.“Dovremo avviare una campagna di rilancio dell’immagine – dice il sindaco Maurizio Buffi alla guida di una maggioranza di centrosinistra – perché non possiamo mettere a repentaglio produzione e occupazione. I contraccolpi finora non ci sono stati ma si comincia a sentire sofferenza sui mercati esteri, in Germania e Giappone, per esempio. Ma bisogna distinguere bene tra il nostro Brunello e le inchieste sui vini al veleno. Purtroppo, finora l’accostamento è stato fatto in maniera molto, molto scorretta”. Tetra l’analisi di breve e lungo periodo di Stefano Cinelli Colombini, titolare di Fattoria dei Barbi. “Ci vorranno decenni per porre rimedio a questo disastro – dice – Io me lo ricordo bene lo scandalo del metanolo, certamente molto diverso perché in quel caso si trattava di sofisticazioni. Ci sono voluti anni. E il Brunello proprio perché è un marchio tra i più famosi nel mondo è di una vulnerabilità estrema”. La comunità, per Cinelli Colombini, è stata colpita al cuore. “Il Brunello è espressione di questa comunità – spiega – e qui c’é un fortissimo senso di appartenenza”. Il modello Montalcino di fatto è un vanto non solo per i numeri di tutto rispetto dell’attività vinicola (un fatturato complessivo di 180 milioni di euro l’anno, 7 milioni di bottiglie prodotte annualmente) e del turismo (2 milioni di presenze all’anno). La comunità si fregia di un record forse nazionale, una delle maggiori concentrazioni di immigrati, in buona parte perfettamente integrati. Lavorano nei campi, nelle cantine dei vini più blasonati nel mondo, hanno rilevato bar e ristoranti. Ci sono stranieri di oltre 40 nazionalità diverse, l’11,3% della popolazione quando la media italiana sfiora il 5% e quella Toscana supera di poco il 6. Tra i banchi di scuola questo meltingpot si rivela appieno. Con dei costi, naturalmente, a carico del Comune che porta a scuola i bambini con i scuolabus, che spende 200 mila euro all’anno per la manutenzione delle strade agricole e 300 mila euro l’anno per la promozione dell’immagine di Montalcino, che significa Brunello. E – sottolineano gli ilcinesi – se non ci fosse Montalcino non esisterebbe neppure il Brunello che si può produrre solo qui, a differenza di tanti vini, e in nessun altra parte del mondo. Per questo, pur avendo il Brunello come fiore all’occhiello della comunità, l’amministrazione civica chiede ai produttori uno sforzo in più. “Abbiamo dovuto aumentare di un punto e mezzo l’Ici sulla prima casa – spiega il sindaco – E’ uno sforzo che chiediamo ai cittadini, all’anziana, alla famiglia. Nel contempo, nel nostro bilancio dalle aziende praticamente non entra nulla, zero Irpef, a fronte dei molti servizi che il Comune garantisce”. Buffi, diplomaticamente, propone un “patto per lo sviluppo” tra istituzioni e produttori. In quale forma, non vuol dire. Ma qualcuno in paese i conti li ha fatti: 2-3 centesimi a bottiglia, attraverso una sorta di tassa comunale sul vino, farebbero scoppiare di salute il bilancio di questo piccolo Comune, virtuoso sì ma sempre alle prese con l’esiguità dei fondi. (ANSA) – ).