Livorno
Vincenzo Savio nei ricordi di Ablondi
Quando ha conosciuto monsignor Savio?
«Questa domanda non ha risposta perché l’esperienza è così varia, articolata e prolungata nel tempo che mi verrebbe da dire che lo conosco da sempre e il sempre rivela l’ampiezza della sua personalità che si sviluppa con nuovi orizzonti nelle situazioni più varie. Ho conosciuto don Vincenzo giovanissimo in una quasi crisi di vocazione salesiana, durante il periodo del diaconato e mi è sempre stato grato di non averlo strappato alla sua congregazione in un momento di debolezza, facendogli capire che quell’ipotesi di cambiamento non raggiungeva neppure il grado della tentazione ma si fermava alla dimensione modesta del grillo giovanile. E quale modo migliore poteva esserci per capire come s’incontra e come si soffre con i livornesi di quello scelto da don Vincenzo di frequentare chi viveva nelle baracche?»
Don Vincenzo tornò poi a Livorno da prete ma non diventò subito parroco come avevano proposto i suoi superiori salesiani?
Quali capacità di don Vincenzo la colpivano maggiormente?
«Sono molte le qualità che ho ammirato in lui: gli piaceva manifestare nella liturgia il suo gusto per l’arte e la cultura, aveva grande sensibilità sociale, rivolgeva un’attenzione particolare al mondo del giornalismo, aveva il senso del poliziotto (come diceva lui) quando indagava per difendere le persone più vulnerabili dai pericoli dello sfruttamento».
Nell’impegno per l’ecumenismo avete trovato un punto di forte comunanza.
Un Vescovo non solo per Livorno ma per il mondo.
«Le vostre strade si incontrano di nuovo quando don Vincenzo viene ordinato Vescovo a Livorno. Ebbi l’illuminazione di proporlo come mio Vescovo Ausiliare: parlandone e presentandolo nelle alte sfere vaticane dissi più volte: Se sarà vescovo darà un bel contributo non solo a Livorno, ma alla missione della Chiesa nel mondo. Oggi la sua azione pastorale, sia nel periodo livornese sia nei tre anni di guida pastorale della diocesi di Belluno – Feltre, documenta il valore di quella proposta e previsione fatta ai più alti livelli».
L’esperienza che ha avuto con don Vincenzo come Ausiliare è stata davvero esemplare.
«Sì, è stata un’esperienza più bella di quanto mi sarei immaginato quando la proposi. Un’esperienza vissuta da monsignor Savio in un compito di grande sofferenza che, probabilmente, ha avuto un peso nell’aggravamento della sua situazione patologica. Un servizio difficile che veniva superato nel pregare insieme, nel lavorare insieme, nel confrontarci quotidianamente su tutto, nel passare insieme anche sani momenti di divertimento. Don Vincenzo aveva poi una grande capacità di cogliere le correnti culturali ed artistiche e trasfigurarle in modo da stabilire tra loro una comunione di valore com’è accaduto con il Volto del Cristo del Beato Angelico oppure con le cinque Iconostasi che arrivò, dopo grandi sforzi, a far esporre contemporaneamente. Un altro esempio di straordinaria lungimiranza è stata la fondazione del CeDoMEI, di cui io ho posso aver avuto l’idea, ma lui ha saputo esplicitare e portare a realizzazione. Una realtà per la quale siamo stati grati al vescovo Diego d’averla accolta e sostenuta senza riserve, prima ancora di conoscerla a fondo. Ricordo anche il contributo che monsignor Savio ha dato per l’avvio del Progetto Strada, che non volle che rimanesse un appannaggio salesiano, ma fosse condiviso con la diocesi».
Infine l’ultimo capitolo di questa bella storia: l’ultimo incontro, pochi giorni fa.