È il 1830 e i moti rivoluzionari hanno da poco portato Luigi Filippo D’Orleans al trono di Francia. Alla «Sorbona» di Parigi il giornalista Emanuele Bailly organizza incontri culturali, cui dà il titolo di Conferenze di diritto e di storia. Vi partecipano studenti di fede ed opinioni diverse: passeranno alla storia le discussioni, anche violente, tra cattolici e simoniaci, ovvero i seguaci delle idee del pensatore francese Saint-Simon.Il cattolico Antonio Federico Ozanam, milanese di origine, assiduo frequentatore di quegli incontri, si rivolge così ai suoi coetanei: «Non provate anche voi, come me, il desiderio ed il bisogno di partecipare, oltre che a queste conferenze, a riunioni riservate ad amici cristiani e consacrate tutte alla carità?».Tre anni più tardi, il 23 aprile del 1833, Ozanam, Le Taillandier, Lamache, Lallier, Devaux, Clavè e Bailly ritrovatisi in Rue de Petit Bourbon Saint Suplice danno vita alla prima Conferenza di carità: invocano lo Spirito Santo, leggono un brano del Vangelo, decidono il daffarsi; nei giorni successivi fanno visita alle famiglie povere di Parigi, per portare ascolto, una carezza, un po’ di denaro. Prendono forma quelle che, due anni più tardi, assumeranno il nome definitivo di Società San Vincenzo de’ Paoli.Le conferenze pisane della Società di San Vincenzo de Paoli hanno ricordato i 175 anni dalla fondazione della prima Conferenza di carità. Si sono incontrati mercoledì scorso, in Santa Maria Madre della Chiesa, per ritrovare nell’ascolto della Sacra Scrittura e nell’Eucarestia le ragioni del loro impegno.A Pisa – come ha ricordato il presidente del consiglio centrale Leandro Casarosa all’arcivescovo Giovanni Paolo Benotto che ha presieduto la concelebrazione eucaristica – la San Vincenzo è presente in una ventina di parrocchie : «operiamo con tanta buona volontà, collaborando con i nostri parroci – ha detto Casarosa – compatibilmente con le nostre possibilità; oggi la nostra consistenza numerica si è alquanto ridotta!». Sono circa 200 i vincenziani presenti in diocesi. Le loro mani sono pronte a dare , ma anche a ricongiungersi per rivolgersi al Signore: «più si cresce nella fede più aumenta la capacità e la volontà di amare l’altro, il fratello, indistintamente dal colore della pelle o dalle credenze» ha osservato ancora Leandro Casarosa ricordando come in quel momento una èquipe di volontari, costituita da un vincenziano, alcuni operatori ed un medico, stesse prestando servizio all’ambulatorio Cesare Villani destinato a cittadini extracomunitari, nomadi e senza fissa dimora.Ogni manifestazione di carità ha le sue radici nel cuore di Dio – ha commentato nell’omelia monsignor Giovanni Paolo Benotto. Dio è amore: dunque ogni gesto di carità ha in Lui la sorgente. L’arcivescovo ha ricordato i tratti peculiari dello stile vincenziano: andare incontro al povero, entrare in relazione con lui, condividendo un po’ della sua storia e delle sue sofferenze. Dall’incontro con l’altro, ha osservato monsignor Paolo Benotto, tutti si arricchiscono: «nessuno, infatti, è così povero da non poter dar niente all’altro, così misero da non avere ricchezza da condividere…». La prima lettera di San Paolo ai Corinzi («Fratelli considerate la vostra vocazione…»), il Salmo 111 («Sarà benedetto chi ha cura del povero»), il Vangelo secondo Matteo (25 – 31-46 «Ogni volta che avete fatto qualcosa a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me»).«Molti si chiedono quale sia la spiritualità della San Vincenzo de Paoli – ha osservato l’assistente spirituale dell’associazione don Roberto Canale – ebbene, la sua spiritualità è l’Eucarestia e il servizio che scaturisce dall’Eucarestia è la nostra vocazione, è la nostra strada». Prima della benedizione finale, il presidente del consiglio centrale ha chiamato per nome le conferenze che operano nella diocesi di Pisa: i suoi responsabili hanno ricevuto dall’arcivescovo una lampada (simbolo di fede) ed un grembiule (simbolo di una fede testimoniata attraverso il servizio). I nomi delle conferenze e, tra parentesi, quelli delle parrocchie in cui sorgono: «Beato Giordano» (Santa Caterina in Pisa), «Nostra Signora di Loreto» (San Giusto in Cannicci), «San Marco alle Cappelle», «San Martino in Kinzica», «San Michele arcangelo» (santi Iacopo e Filippo), «Sant’Agostino» (San Nicola) «Sant’Ubaldo» (San Michele degli Scalzi) «Santa Maria ausiliatrice» (Sacra Famiglia), «Santa Maria del Carmine», «Santo Stefano extra moenia», «San Giorgio», «San Giovanni evangelista» (Calcinaia), «San Prospero», «La Consolata» (Duomo di Pontedera) «San Faustino» (Sacro Cuore di Pontedera) «San Giovanni Battista» (Calci), «San Matteo» (La Rotta di Pontedera), «Santa Maria della Neve» (Ponsacco), «Santa Maria Laureatana» (Querceta), «San Martino» (Duomo di Pietrasanta), «Sant’Antonio abate» (Ripa), «Santo Stefano» (Vallecchia).Infine, l’omaggio ad una icona mariana: tornata, dopo tre anni di restauri, in Santa Maria Madre della Chiesa. Anche alla Madonna, oltre che al patrono San Vincenzo de’ Paoli, è stato affidato il futuro delle conferenze pisane.