Italia
Viareggio, parla l’arcivescovo di Lucca: «Dalla gente una grande lezione»
di Andrea Fagioli
Al momento di «andare in macchina», come si dice in gergo giornalistico, i morti sono 26 più un disperso (Le vittime sono ora 28). La speranza è di non dover aggiornare l’elenco, come invece succede ora. Infatti, dal numero scorso altre tre persone sono morte a causa delle gravissime ustioni causate dallo scoppio del vagone-cisterna, il 29 giugno scorso, nella stazione ferroviaria di Viareggio. A distanza di venti giorni da quel terribile incidente, che ha di fatto provocato una strage, abbiamo chiesto all’arcivescovo di Lucca, Italo Castellani (che ha presieduto i solenni funerali di Stato e seguito passo passo e da vicino la tragica vicenda che ha colpito la sua diocesi), quale sia oggi il suo stato d’animo (nella foto, mons. Castellani, durante il saluto del rappresentante islamico).
«È ci dice come quello di un padre che ha perso dei figli e altri stanno male o sono in grave difficoltà, e al tempo stesso deve far sì che il resto della famiglia non si perda d’animo, anzi trovi energie e coraggio per andare avanti».
Come ha reagito, a suo giudizio, la comunità ecclesiale lucchese e più in generale la comunità civile viareggina e della provincia di Lucca?
«Non dividerei nel sentimento profondo tra comunità ecclesiale e cittadinanza. Così come non ha turbato nessuno vedere i frati di sant’Antonio a scavare con le mani nude tra le macerie in mezzo alle fiamme così è stato naturale vedere chi magari non vive la vita della comunità dei fedeli esprimere una invocazione e una preghiera; così come le parrocchie e i miei sacerdoti hanno messo subito a disposizione locali e mezzi di sostentamento, così il volontariato di ogni ispirazione ha dato il massimo e forse anche qualcosa di più… Tuttavia se proprio devo esprimermi mi pare che tre siano stati i capisaldi che hanno caratterizzato la reazione a questa tragedia. Il primo direi è stata la consapevolezza di un dramma cittadino e della nostra terra di lucchesia. Il secondo caposaldo è stata la grande compostezza e misura: ad una tragedia fuori misura la gente ha reagito con misura, cioè la gente è stata più grande della tragedia e del disastro. A Viareggio ho visto tanti volti segnati dalle lacrime insieme al pudore, alla riservatezza e alla solidarietà di popolo. Ultimo caposaldo ci riguarda più da vicino come credenti: penso che siano stati davvero pochi coloro che non abbiano attinto a quel patrimonio che, grazie a Dio, anche se appannato e trascurato, è rappresentato dalla fede: una fede popolare, certo, ma che esprime sempre la capacità di rivolgersi, chiamandolo per nome, a Colui che è vicino all’uomo, ad ogni uomo, nel momento del dolore e della tragedia».
Resta l’indignazione per una tragedia così assurda: non si può morire così. È d’accordo?
«Il tempo della vita come il tempo della morte appartengono a Dio. Però all’uomo sta di custodire questo tempo. Sia nella nascita che nella morte va riservato all’uomo una spazio di dignità e di naturalezza. In questo caso direi che questi nostri fratelli e sorelle sono stati violentati nel morire: si, anche se accade basta pensare agli incidenti stradali o a quelli sul lavoro non si deve morire così».
Finora abbiamo pensato ai morti e per quanto riguarda i feriti ci siamo augurati che sopravvivessero. Eppure, per chi ha avuto bruciature sul tutto il corpo, il futuro non sarà facile, da tanti punti di vista. Ecco, proprio a coloro che resteranno segnati per tutta la vita e che forse (preghiamo Iddio che non sia così) avranno dei momenti di sconforto in cui diranno «Era meglio che anche io quel giorno fossi morto insieme agli altri», cosa si sente di dire?
«Più che dire penso che sia bene prepararci a stare, a stare vicino a questi nostri fratelli e sorelle. In fondo Gesù faceva così, e noi, i suoi discepoli, perché dobbiamo fare qualcosa di diverso dal Maestro? Comunque non possiamo dimenticare chi è rimasto incolume nel corpo ma è senza casa o senza il luogo di lavoro, rimasti distrutti dall’esplosione».
All’indomani dell’incidente, il 4 luglio, lei ha incontrato il Papa in forma privata. Cosa le ha detto a proposito di quanto accaduto a Viareggio?
«Benedetto XVI mi ha accolto dimostrandomi ancora la sua compartecipazione al dolore della città di Viareggio, si è voluto informare sulla situazione, e poi ha assicurato ancora la sua vicinanza a tutti i colpiti da questo evento, anticipandomi che sarebbe intervenuto in merito alla tragedia di Viareggio all’Angelus del giorno dopo, auspicando che simili incidenti non abbiano a ripetersi e sia garantita a tutti la sicurezza sul lavoro e nello svolgimento della vita quotidiana».
Qualcuno ha criticato i funerali di Stato soprattutto per i troppi applausi a discapito della liturgia e della preghiera. Qual è stata la sua impressione?
«Sono opinioni che rispetto. Tuttavia essere presente ad una celebrazione come quella ti fa essere uno con tutti e senti tutti come una solo presenza; chi invece assiste attraverso i mezzi radiotelevisivi non può percepire questo e può leggere certe manifestazioni come inappropriate e fuori luogo. In merito posso dire le mie impressioni: la partecipazione è stata altissima e gli applausi erano il modo semplice e forte attraverso cui la gente diceva di esserci e, perché no?, scaricava anche la grande tensione emozionale del momento. Inoltre i presenti non hanno applaudito ai gesti della liturgia, anzi quelli sono stati accompagnati da un dignitoso silenzio. La gente ha applaudito le più alte cariche dello Stato presenti, salutate all’inizio dei funerali, e mi è parso positivo; ha applaudito alcuni passaggi dell’omelia, quando ho ricordato il legame che ora unisce nella tragedia Viareggio ai terremotati d’Abruzzo, quando ho sottolineato l’integrazione della comunità magrebina in Viareggio, quando ho ricordato le parole del Papa pocanzi citate, quando ho ricordato i soccorritori tutti e i sopravvissuti. I presenti infine hanno applaudito, come a ricordarli per l’ultima volta, i nomi dei defunti: mi è sembrato un gesto di affetto e corale vicinanza dedicato alle vittime e soprattutto ai familiari».
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