Vita Chiesa
Via Crucis al Colosseo: Anne-Marie Pelletier, sul Golgota si compie una nascita
Le lacrime e il sangue di santa Caterina da Siena. Il cielo intravisto dal recinto di un lager di Etty Hillesum. La kenosi come linguaggio di Dio di Christos Yannaras. Il valore redentivo della sofferenza di Dietrich Bonheffer. Sono le figure evocate nelle meditazioni della Via Crucis di quest’anno, scritte su incarico di Papa Francesco dalla biblista francese Anne-Marie Pelletier, già vincitrice del Premio Ratzinger nel 2014. È una prima assoluta per una donna. Non a caso, la parola chiave dell’intero testo, che rifugge da ogni tipo di retorica, è nascita: come compimento della missione di misericordia di Dio, della sua intera esistenza che prima del Golgota era una vita in sospeso. Ed è di vita che grondano le riflessioni: senza mai mettere tra parentesi, ma al contrario mostrando fino alle estreme conseguenze il peso specifico del dolore della Croce. Vita come antidoto alla «banalità del male»: quella di Hannah Arendt, evocata – pur senza mai essere citata – nell’espressione che dà il titolo ad uno dei suoi libri più famosi. La banalità del male, oggi, ha uno spettro sempre più ampio. L’elenco di Pelletier è lungo, concreto e dettagliato, perché deve aiutare a scandagliare e misurare l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità dell’amore di Cristo. A fare come le donne che piangono Gesù: il pianto è segno di forza, non di debolezza, e va molto al di là degli stereotipi in cui ancora si cerca d’ingabbiare il mondo femminile. Ce lo insegna Francesco, con la rivoluzione della tenerezza che fin dall’inizio ha timbrato il suo pontificato e che è ancora viva nella memoria di uno dei momenti più intensi e originali del Giubileo della misericordia: la Veglia per asciugare le lacrime.
Tutto comincia sul Golgota, perché lì è una nascita che si compie. Contro tutte le apparenze, sul Golgota è questione di vita: «Si tratta del nostro mondo, con tutte le sue cadute e i suoi dolori, i suoi appelli e le sue rivolte, tutto ciò che grida verso Dio, oggi, dalle terre di miseria o di guerra, nelle famiglie lacerate, nelle prigioni, sulle imbarcazioni sovraccariche di migranti. Tante lacrime, tanta miseria che non vanno perdute nell’oceano del tempo, ma sono raccolte da lui, per essere trasfigurate nel mistero di un amore in cui il male è inghiottito».
Quando Pietro incrocia lo sguardo di Gesù, dopo averlo tradito a tre riprese, «le sue lacrime scendono, amare eppure dolci, come acqua che lava una sporcizia». E così che Pietro impara il perdono senza misura di colui che, prendendo la croce, «scende nel profondo della nostra notte», raggiungendo «la terra spesso ingrata, a volte devastata, delle nostre vite».
Le lacrime sono necessarie. «Il pianto delle donne non manca mai in questo mondo», scende sulle loro guance, ma anche nel loro cuore, come le lacrime di sangue di cui parla Caterina da Siena, la prima donna proclamata dottore della Chiesa. Viviamo in un mondo in cui c’è molto da piangere: «Pianto dei bambini terrorizzati, dei feriti nei campi di battaglia che invocano una madre, pianto solitario dei malati e dei morenti sulla soglia dell’ignoto. Pianto di smarrimento, che scorre sulla faccia di questo mondo che è stato creato, nel primo giorno, per lacrime di gioia, nella comune esultanza dell’uomo e della donna».
Le lacrime sono necessarie. Come le lacrime di Etty Hillesum, donna forte d’Israele rimasta in piedi nella tempesta della persecuzione nazista. Nell’infermo che sommerge il mondo, lei osa pregare Dio: «Cercherò di aiutarti», gli dice con audacia tutta femminile.
A volte, «il male ci lascia senza aiuto». Per decifrarlo, bisogna apprendere la lingua di Dio, che si abbassa per raggiungerci là dove siamo, come insegna il teologo ortodosso Christos Yannaras. «Era necessario che la dolcezza di Dio visitasse il nostro inferno, era l’unico modo per liberarci dal male»: Dio è là dove non dovrebbe esserci e dove noi abbiamo bisogno che sia, tra i tanti esseri umani sfigurati che incrociano le nostre strade. Contro i violenti, la preghiera è quella dei monaci di Thibirine: «Disarmali! Disarmaci!».
«Soltanto il Dio sofferente può salvare». Sta in queste parole di Dietrich Bonhoeffer la «verità semplice e vertiginosa» della fede cristiana. Sul Golgota, anche Maria è arrivata al termine del cammino.
«In piedi, lei non diserta. Nel buio, ma con certezza, sa che Dio mantiene le promesse. Nel buio, ma con certezza, sa che Gesù è la promessa e il suo compimento».
Acqua e sangue, vita e nascita sgorgano dal fianco del Crocifisso. Ricevendo tra le braccia il corpo nato dalla sua carne e reso immenso dal dolore, la Madre compie gesti che sono «carezza di rispetto». Grazie alla Madre, entrano in scena la tenerezza e la compassione: ora la missione di misericordia di Gesù è compiuta, «la violenza degli uomini omicidi è rifluita molto lontano. La dolcezza è ritornata nel luogo del supplizio». Ogni lacrima sarà asciugata. Quando le donne preparano i profumi e gli aromi con cui renderanno l’ultimo omaggio al loro Signore, non sanno ancora che, il mattino dopo, troveranno una tomba vuota.