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Vertice Onu, impegni disattesi

di Riccardo MoroSarà difficile ricordare questo World Summit come un evento di portata storica. Il segretario generale delle Nazioni Unite aveva giocato anche il suo prestigio personale affinché dall’assemblea generale delle Nazioni Unite di quest’anno, quella del 60° anniversario, venissero riforme capaci di segnare in modo rilevante i prossimi anni del pianeta. Due erano i terreni di discussione più attesi: la riforma dell’istituzione con un nuovo assetto del Consiglio di Sicurezza e l’avvicinamento agli Obiettivi del Millennio, cioè l’impegno a dimezzare la povertà nel pianeta entro il 2015. Per sigillare con la loro presenza gli impegni da assumere erano stati invitati a New York tutti i capi di Stato e di Governo dei Paesi membri, dando vita al più numeroso incontro di leader della storia, il World Summit appunto.

Certo il vertice è stato salvato. Il documento finale, discusso dai diplomatici nei giorni scorsi, è stato approvato all’inizio dei lavori e contiene tutti i punti previsti, ma è privo di vita. Doveva segnare un passaggio di grande novità e impegni concreti, ma si limita ad essere una lista di esortazioni. Per quanto riguarda la riforma delle Nazioni Unite, il dibattito intenso sull’allargamento del Consiglio di Sicurezza, che ha visto coinvolta la commissione ad hoc nominata da Kofi Annan e numerosissimi governi, ha prodotto come unico risultato l’auspicio elegante che un’intesa si trovi presto. Sei righe su trentacinque pagine del documento.

Positivo invece l’accordo a costituire un Consiglio per i diritti umani e una Commissione per il peacebuilding, la costruzione della pace. Due novità che nel testo del documento rimangono però poco più che embrionali. I due organismi nasceranno, ma non si sa ancora né quando né che forma avranno.

Anche sulla lotta alla povertà la delusione è diffusa. Si doveva sancire l’impegno ad aumentare l’aiuto pubblico allo sviluppo da parte dei Paesi ricchi con cifre precise: 0,7% del Pil entro il 2015 e 0,5% entro il 2010. Sarebbe stato, comunque sia, poco e un po’ paradossale, visto che l’impegno sullo 0,7% è vecchio di alcuni decenni e, salvo l’eccezione dei Paesi scandinavi e dell’Olanda, è stato sistematicamente disatteso. Ma, grazie alla pressione di alcuni Paesi ricchi e, a quanto si dice nel Palazzo di vetro, anche dell’Italia, nel testo del documento non c’è alcun impegno preciso, solo l’augurio che questi target si possano raggiungere.

In questo quadro debole si assiste alla kermesse dei leader che all’assemblea pronunciano discorsini di cinque minuti che paiono usciti da una strana commedia dell’ipocrisia, in cui tutti auspicano per l’Onu un grande futuro e raccontano in pillole come lavora bene il proprio governo, ma si guardano bene dal proferire impegni precisi. Solo il gruppo di Brasile, Francia, a nome anche di Algeria, Cile e Spagna hanno formulato una proposta concreta innovativa, una “tassa globale”, cioè da applicarsi in più Paesi, sui biglietti aerei, per tassare indirettamente il carburante e provvedere risorse per il Sud del mondo. Ne hanno anche annunciato il parziale avvio a partire del prossimo anno.

Ovviamente non tutto è negativo. Il vertice ha permesso incontri diplomaticamente delicati e il documento, pur nella sua debolezza, grazie alla sua ampiezza permetterà di proseguire il lavoro sui temi più difficili. Ma ci si chiede se servano eventi di questo tipo e in che stato sia il mondo, quale sia la levatura politica dei leader attuali.

Può davvero impensierire i terroristi, ad esempio, un’immagine così poco coesa? Oppure una grande multinazionale che pensa all’Africa o al Sud del mondo solo come terreno di sfruttamento di lavoratori-schiavi si sentirà efficacemente provocata dal messaggio del World Summit?

Verrebbe naturale dire che è tutta colpa dell’Organizzazione. È ciò che fanno alcuni governi, ma si tratta di un gioco perverso. Da condannare. Da un lato si ritarda o si nega il contributo finanziario nazionale, dall’altro si presentano 750 emendamenti alla bozza di documento finale per incartare la discussione, poi in conferenza stampa si attribuisce la colpa dell’accordo di basso profilo al segretario delle Nazioni Unite. Come si può ben capire non è per caso che il clamore sul caso “Oil for Food” sia tornato alla ribalta proprio la settimana prima del vertice, per screditare, col segretario generale, l’intera Organizzazione. Nell’Italia impegnata nelle schermaglie pre-elettorali il vertice non ha praticamente ricevuto attenzione. È un atteggiamento che non fa ben sperare. Continuiamo a ritenere che ruolo dell’Italia e delle Nazioni Unite devono tornare ad essere un punto discusso seriamente, e non in modo retorico, nei programmi e nel dibattito delle prossime elezioni e, soprattutto, nella loro realizzazione.

Vertice Onu, tra meriti e divisioni