Opinioni & Commenti

Verso Verona: da cattolici e da laici

di Franco VaccariNafjhullah Najar,Gran Muftì di Kazan, in visita in Italia qualche tempo fa per una serie di colloqui sui temi del dialogo e della pace, al termine del soggiorno, apprezzando l’accoglienza riservatagli, mi chiese: «Ma tutto questo lo fate perché siete cattolici o italiani?». La domanda, espressa con sorriso levantino, non ebbe una precisa risposta e, col passare del tempo, l’aspetto vagamente insidioso si è trasformato in una feconda opportunità di riflessione.

Non era facile e non lo è tuttora separare tutto ciò che si compie in ragione di un’appartenenza religiosa da quello che invece si riferisce a un’appartenenza civile. E ciò semplicemente perché entrambe le appartenenze sono mediate dalla cultura in cui ciascuno è immerso e ne è come intessuto.

Procedendo verso il Convegno ecclesiale della Chiesa Italiana che si celebrerà a Verona nell’ottobre del prossimo anno, potremmo farci, in un certo senso, la stessa domanda: ci andremo come cattolici o come italiani? Larga parte della fecondità di quell’appuntamento ritengo che possa dipendere proprio da questa capcità di tenere aperta quella domanda, cercando possibili risposte. Infatti tra le due parole – cattolici e italiani – ciò che distingue è da capire parimenti a ciò che accomuna. Ciò che accomuna è la cittadinanza o, se si vuole, più concretamente, l’essere cittadini in questo Paese, e il valore di fondo è la laicità. Questa, infatti, appare come lo spazio aperto dell’incontro di due diverse appartenenze vissute dalla stessa persona e, insieme, delle appartenenze di persone diverse. Coniugare insieme le due prospettive – essere italiani ed essere cattolici – all’interno di scenari nazionali e mondiali che mutano continuamente e velocemente potrà portare ciò che tutti ci attendiamo come promessa del Convegno: una testimonianza di speranza reciproca per costruire insieme la società di ogni giorno.

Se vogliamo questo, occorre allora che tutto il cammino preparatorio respiri un clima di reale apertura. La laicità infatti non è solo un valore da annunciare, ma uno spazio fisico concreto, storico, sociale, culturale, dove incontrarsi con altri che dichiarano e vivono le loro diverse appartenenze.

La laicità e la cittadinanza sono ed esigono un tale atteggiamento. Ciascuno può essere – ed è, in un certo senso – «chierico» e «laico», a seconda del modo con cui intende le proprie appartenenze culturali, di categoria sociale o professionale: in tal senso lo è un medico o un insegnante, un prete, uno scienziato o un politico. Incontrarsi su questo terreno condiviso può fare un gran bene: significa adottare il punto di vista dell’altro e confrontarvisi seriamente per costruire con lui civiltà.Uscire. Non già dalla parrocchia – che troppo la stima chi scrive, per permettere qualsiasi equivoco linguistico – ma dalla «parrocchietta», dalle proprie appartenenze vissute in modo difensivo, come dei resistenti. Questo è il compito per dare il colpo d’ala di cui abbiamo bisogno come cattolici e come cittadini. Tutti lo possiamo dare: un parroco di trecento anime o un parlamentare di un collegio europeo con milioni di persone.

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