Vacanza: «dal latino vacantia, neutro plurale sostantivato di vacans, participio presente di vacare, essere vuoto, libero». Così, o con parole simili, i dizionari di lingua italiana descrivono il tempo in cui si interrompono gli impegni e ci si stacca dalla routine quotidiana, dedicandosi a ciò che più piace. L’immagine è quella della conchiglia, che posta accanto all’orecchio interrompe il fracasso delle attività e lascia percepire il dondolio del mare o rinvia alle campanelle delle caprette alpine. Per molti quest’anno in realtà non sarà esattamente cosi. Nel periodo del maggior contagio e poi della chiusura forzata, in varie situazioni si è stati costretti a consumare le poche ferie disponibili. In altri casi, le preoccupanti condizioni economiche di madri o padri di famiglia, che temono di perdere il posto di lavoro, non permettono quest’anno di ambire alle solite vacanze. Qualcuno, con un certo fatalismo, descrive queste condizioni originate dalla pandemia quasi come una legge ineludibile. Ma, già nel III secolo, la Lettera a Diogneto descrive i cristiani come coloro che «obbediscono alle leggi, ma con il loro modo di vivere superano le leggi» (c. 5,10), perché «la loro cittadinanza è nei cieli» (Fil 3,20). L’essere pellegrini, con tutte le precarietà connesse, non delinea una mancanza di meta. Permette anzi di vivere una piena libertà dello Spirito, scorgendo in tutto ciò che accade le trame di un meraviglioso disegno divino. Si tratta di percorrere ogni via del mondo come via crucis e via lucis, nella consapevolezza che il crocifisso è risorto! Da quella croce, presa sulle nostre spalle, sprigiona la potenza della Sua resurrezione. Come reagire allora, nell’ottica del Vangelo, alla situazione attuale?Molti hanno appreso dal lockdown un nuovo modo per vivere il tempo: si tratta di dare valore a questa esperienza di ritmi meno frenetici e più umani. Alcune volte «il problema è che il tempo che si passa insieme non ha qualità. Condividiamo solamente uno spazio fisico, ma senza prestare attenzione l’uno all’altro» (AL 224).Per chi allora non può concedersi un vero e proprio periodo di riposo, si potrebbero valorizzare di più i rapporti con coloro con cui si abita. Così si può generare un dialogo più disteso fra marito e moglie, fra genitori e figli, nel quale magari sciogliere qualche nodo di dissapori antichi e ripromettersi, o forse consegnarsi per la prima volta, la disponibilità a un amore sincero. Come dice Papa Francesco, «molte volte uno dei coniugi non ha bisogno di una soluzione ai suoi problemi ma di essere ascoltato. Deve percepire che è stata colta la sua pena, la sua delusione, la sua paura, la sua ira, la sua speranza, il suo sogno» (Amoris Laetitia 137). E questo accade anche con i figli o con la suocera.Ma anche per chi si mette in viaggio per godere la bellezza delle coste marine o delle valli montane, la vacanza non può essere semplicemente un tempo vacuo. Altrimenti è facile che quel vuoto o quei silenzi vengano presto riempiti di irritabilità o competizioni sorte apparentemente per motivi banali, ma particolarmente dolorose. Le mura della nuova abitazione possono invece diventare casa dello Spirito, attraverso un ritmo più orientato all’ascolto della Parola, alla preghiera familiare, al dialogo sulle cose di Dio. Significa quindi generare conversazioni sane, magari aperte anche ad altri amici con i quali si condividono le vacanze. Di solito le vite dei santi sono ricche di occasioni di dialogo che fanno crescere nello Spirito. È noto l’episodio in cui il 6 febbraio 543 Santa Scolastica, che incontrava il fratello gemello San Benedetto una volta all’anno, era talmente felice, che lo implorò di poter conversare sulle cose di Dio per tutta la notte. E dinanzi al rifiuto del fratello, che non voleva trasgredire la Regola, nonostante il cielo fosse sereno, si scatenò un violento temporale che impedì a Benedetto di rientrare al suo Monastero. Così «potè di più colei che amò di più». Dio infatti aveva soddisfatto le preghiere di Scolastica, che poi tre giorni dopo andò in cielo. Il tempo del riposo può allora divenire una preziosa opportunità per crescere in fraternità.San Cipriano di Cartagine (III sec.) affermava: «Non si può avere Dio per padre se non si ha la chiesa per madre» (L’unità della chiesa 6). Se allora, per i grandi asceti del passato mettersi in ascolto dello Spirito implicava distaccarsi dagli altri e fare silenzio interiore, per gli attuali sposi e genitori significa curare maggiormente la dimensione delle relazioni nella piccola chiesa domestica.Tutto questo, oltre che rigenerare le reti familiari, permette anche di immettere nel mondo che ci circonda linfa benefica e corroborante. «Forse non sempre ne siamo consapevoli, ma è proprio la famiglia che introduce la fraternità nel mondo! A partire da questa prima esperienza di fraternità, nutrita dagli affetti e dall’educazione familiare, lo stile della fraternità si irradia come una promessa sull’intera società» (Amoris Laetitia 194).*Vicario del vescovo di Grossetoe responsabile per la pastorale familiaredella Conferenza episcopale toscana