Toscana

Uscire dal tunnel del terrore

di Filippo Ciardi«Tutte le Chiese cristiane avevano messo in guardia rispetto al rischio che l’intervento militare in Iraq potesse essere interpretato come una guerra di religione». Lo dice il professor Domenico Maselli, docente di Storia delle religioni e presidente del corso di laurea per «Operatori di pace» dell’Università di Firenze.

«Per capire il possibile stato d’animo di un numero sempre maggiore di iracheni e di musulmani, bisogna risalire – spiega Maselli – alla dissoluzione dell’impero turco avvenuta a partire dal 1918 ad opera degli occidentali. Allora furono costituiti stati artificiali come l’Iraq, in cui più popoli si trovarono a convivere forzatamente. Oltretutto l’abolizione del sultanato, nel 1920, e due anni più tardi anche quella del califfato, lasciò i sunniti senza guide spirituali. È come se i cattolici fossero senza Papa e senza vescovi da settant’anni. Tutto questo è tornato di enorme attualità quando Bin Laden, nel suo primo appello alla guerra santa, ha esortato a “sanare la ferita del 1922”, parole che più tardi hanno fatto intendere a sempre più islamici come una guerra di religione e di civiltà l’intervento in Iraq, uno dei pochi paesi arabi che seppur sotto una feroce dittatura conservava una vera libertà religiosa».

Fortemente contrari all’intervento militare in Iraq e a come si sta gestendo la situazione sono anche il professor Alberto L’Abate, docente di Sociologia dei conflitti e ricerca per la pace presso il corso di laurea presieduto da Maselli, e il professor Giorgio Gallo, presidente del corso di laurea in Scienze per la pace dell’Università di Pisa. Quest’ultimo critica aspramente l’utilizzo di missili nella zona irachena occupata dagli Americani, «che provocano continui morti e feriti fra i civili e certo non sono adatti a reprimere la resistenza armata che si confonde tra la popolazione. Nella zona controllata dagli inglesi la politica di compromesso con i signorotti della guerra locali non porta certo a risultati migliori. L’Italia ha inviato Carabinieri e soldati, che per quanto personalmente possano agire con profonda umanità, sono comunque inseriti nel contesto dell’occupazione anglo-americana e quindi visti come invasori dagli estremisti. Bisognerebbe invece sostenere il riorganizzarsi della società civile irachena in associazioni e partiti democratici; ricostituire gli apparati dello stato non corrotti, che prima funzionavano e che di colpo gli occupanti hanno dissolto; riattivare gli ospedali, piuttosto che inviare ospedali da campo». Proprio sul da farsi per risolvere la difficile situazione in Iraq e scongiurare il rischio terrorismo tutti gli intervistati, con qualche distinguo, auspicano il graduale ma rapido ritiro degli eserciti occupanti, compresi i militari italiani, e un intervento multilaterale realmente pacificatore sotto l’egida dell’Onu. Maselli sostiene che «le Nazioni Unite dovrebbero nominare un leader provvisorio individuandolo tra gli islamici moderati, in modo da cambiare la percezione dei musulmani che si sia di fronte ad una guerra santa. Le forze di sicurezza inviate dovrebbero provenire da stati totalmente al di fuori dal conflitto».

Secondo Gallo è importante che la forza da inviare sia di polizia e L’Abate auspica come a questa si affianchino «i corpi civili di pace, richiamati anche dalla nostra normativa, ma che per ora in Italia continuano ad organizzarsi in modo volontario, operando anche in Iraq da prima del ’90, per niente sostenuti. Vengono menzionati anche nella nuova Costituzione europea, anche se limitatamente ad interventi di tipo umanitario. Bisogna smettere di pensare che si possa solo subire un’ingiustizia o reagire con le armi. Dobbiamo imparare ad ottenere la pace con mezzi pacifici, sostenere il filone nonviolento presente in tutte le religioni e dare spazio alla cooperazione internazionale».

A proposito di cooperazione, in Iraq sono impegnate attualmente una decina di Organizzazioni non governative italiane, di cui 7 fanno parte delle 157 iscritte all’Associazione delle Ong italiane, il loro principale organo di rappresentanza, del quale è presidente Sergio Marelli, che è anche direttore generale di Focsiv, la confederazione delle Ong cattoliche. Marelli sottolinea come «la maggioranza delle Ong italiane è stata e resta contraria all’intervento militare in Iraq e sta operando sul posto grazie a sottoscrizioni di privati che si stanno raccogliendo attraverso il Tavolo di solidarietà con le popolazioni dell’Iraq».

Le Ong portano aiuti umanitari in tutte le zone in cui sono garantite le minime condizioni di sicurezza, ma in piena autonomia rispetto agli eserciti occupanti, per rispetto della Convenzione di Ginevra, in base alla quale non possono essere affidati compiti di pacificazione alle stesse forze coinvolte nel conflitto.

Il direttore del Focsiv si mostra molto preoccupato perché «in questi giorni non è stata rinnovata la risoluzione Onu che regolava il programma Oil for food, cioè cibo in cambio di petrolio, in base al quale i guadagni della vendita dell’oro nero irakeno erano gestiti dalle Nazioni Unite per la fornitura di aiuti alla popolazione sotto embargo. Adesso che cosa faranno americani ed inglesi – si chiede Marelli – del petrolio iracheno che si troveranno a gestire direttamente?».

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