Vita Chiesa

«Urbi et orbi»: La mano di Dio sul mondo

“Cristo è nato per noi! Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini che Egli ama. A tutti giunga l’eco dell’annuncio di Betlemme, che la Chiesa Cattolica fa risuonare in tutti i continenti, al di là di ogni confine di nazionalità, di lingua e di cultura. Il Figlio di Maria Vergine è nato per tutti, è il Salvatore di tutti”. Lo ha detto Benedetto XVI, affacciandosi dalla loggia centrale della basilica di San Pietro per rivolgere, nel giorno di Natale,  il tradizionale Messaggio natalizio e impartire la Benedizione Urbi et Orbi.

La mano di Dio. “Vieni a salvarci, o Signore nostro Dio”. “Questo – ha osservato il Papa – è il grido dell’uomo di ogni tempo, che sente di non farcela da solo a superare difficoltà e pericoli. Ha bisogno di mettere la sua mano in una mano più grande e più forte, una mano che dall’alto si tenda verso di lui”. E “questa mano è Cristo”, “la mano che Dio ha teso all’umanità, per farla uscire dalle sabbie mobili del peccato e metterla in piedi” sulla “salda roccia della sua Verità e del suo Amore”. Questo significa il nome di Gesù, ossia “Salvatore”. “Egli – ha spiegato il Pontefice – è stato inviato da Dio Padre per salvarci soprattutto dal male profondo, radicato nell’uomo e nella storia: quel male che è la separazione da Dio, l’orgoglio presuntuoso di fare da sé, di mettersi in concorrenza con Dio e sostituirsi a Lui, di decidere che cosa è bene e che cosa è male, di essere il padrone della vita e della morte. Questo è il grande male, il grande peccato, da cui noi uomini non possiamo salvarci se non affidandoci all’aiuto di Dio, se non gridando a Lui: ‘Veni ad salvandum nos! – Vieni a salvarci!’”. Per il Santo Padre, “il fatto stesso di elevare al Cielo questa invocazione, ci pone già nella giusta condizione, ci mette nella verità di noi stessi: noi infatti siamo coloro che hanno gridato a Dio e sono stati salvati. Dio è il Salvatore, noi quelli che si trovano nel pericolo. Lui è il medico, noi i malati”. Riconoscerlo “è il primo passo verso la salvezza, verso l’uscita dal labirinto in cui noi stessi ci chiudiamo con il nostro orgoglio. Alzare gli occhi al Cielo, protendere le mani e invocare aiuto è la via di uscita, a patto che ci sia Qualcuno che ascolta, e che può venire in nostro soccorso”.

Oltre le nostre attese. “Gesù Cristo – ha affermato Benedetto XVI – è la prova che Dio ha ascoltato il nostro grido. Non solo! Dio nutre per noi un amore così forte, da non poter rimanere in Se stesso, da uscire da Se stesso e venire in noi, condividendo fino in fondo la nostra condizione. La risposta che Dio ha dato in Gesù al grido dell’uomo supera infinitamente la nostra attesa, giungendo ad una solidarietà tale che non può essere soltanto umana, ma divina. Solo il Dio che è amore e l’amore che è Dio poteva scegliere di salvarci attraverso questa via, che è certamente la più lunga, ma è quella che rispetta la verità sua e nostra: la via della riconciliazione, del dialogo, della collaborazione”.

Voce di chi non ha voce. Il Papa ha esortato: “In questo Natale 2011, rivolgiamoci al Bambino di Betlemme” e “diciamo: ‘Vieni a salvarci!’. Lo ripetiamo in unione spirituale con tante persone che vivono situazioni particolarmente difficili, e facendoci voce di chi non ha voce”. Ha quindi invocato “il divino soccorso per le popolazioni del Corno d’Africa, che soffrono a causa della fame e delle carestie, talvolta aggravate da un persistente stato di insicurezza. La Comunità internazionale non faccia mancare il suo aiuto ai numerosi profughi provenienti da tale Regione, duramente provati nella loro dignità”. Ha chiesto conforto per “le popolazioni del Sud-Est asiatico, particolarmente della Thailandia e delle Filippine, che sono ancora in gravi situazioni di disagio a causa delle recenti inondazioni”. Ancora “il Signore soccorra l’umanità ferita dai tanti conflitti, che ancora oggi insanguinano il Pianeta. Egli, che è il Principe della Pace, doni pace e stabilità alla Terra che ha scelto per venire nel mondo, incoraggiando la ripresa del dialogo tra israeliani e palestinesi. Faccia cessare le violenze in Siria, dove tanto sangue è già stato versato. Favorisca la piena riconciliazione e la stabilità in Iraq ed in Afghanistan. Doni un rinnovato vigore nell’edificazione del bene comune a tutte le componenti della società nei Paesi nord africani e mediorientali”. La nascita del Salvatore, infine, “sostenga le prospettive di dialogo e di collaborazione in Myanmar, nella ricerca di soluzioni condivise. Il Natale del Redentore garantisca stabilità politica ai Paesi della Regione africana dei Grandi Laghi ed assista l’impegno degli abitanti del Sud Sudan per la tutela dei diritti di tutti i cittadini”. Invitando a rivolgere “lo sguardo alla Grotta di Betlemme”, il Pontefice ha chiarito: “Il Bambino che contempliamo è la nostra salvezza! Lui ha portato al mondo un messaggio universale di riconciliazione e di pace. Apriamogli il nostro cuore, accogliamolo nella nostra vita”. Alla fine il Santo Padre ha rivolto gli auguri in 65 lingue. “La nascita di Cristo Salvatore e l’accoglienza gioiosa del suo Vangelo di salvezza rinnovino i cuori dei credenti, portino pace nelle famiglie, consolazione ai sofferenti e aiutino gli abitanti dell’intero Paese a crescere nella reciproca fiducia per costruire insieme un futuro di speranza, più fraterno e solidale”, ha dichiarato in italiano.

NATALE IN TERRA SANTA

Il grido del patriarca nella messa della notte a Betlemme: per la pace “i discorsi non bastano più”

“Alziamo la nostra voce a Dio per gridare la nostra sete. Chiediamo pace e soltanto pace”. Il grido del patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, si è levato durante la messa di Mezzanotte, nella chiesa della Natività, a Betlemme, alla presenza del presidente palestinese Abu Mazen, di Nasser Judeh, ministro giordano degli Affari Esteri, rappresentante del Re Abdullah di Giordania, di Consoli e Ambasciatori di Paesi esteri e dei rappresentanti delle diverse Chiese. Fuori, nella piazza della Mangiatoia, la Manger Square illuminata a festa, migliaia di pellegrini in preghiera. Dalla chiesa della Natività, proprio vicino alla Grotta dove la Vergine Maria avvolse in fasce suo figlio e lo depose in una mangiatoia, è arrivato, forte e chiaro, il messaggio del patriarca.

Un messaggio di pace. “Sia resa gloria a Dio e la pace discenda sulla terra. La gloria di Dio e la pace nel mondo sono, infatti, inseparabili: tra di esse esiste una relazione di causa ed effetto – ha detto Twal – se attribuiamo la gloria a Dio, avremo anche la sua pace. Se diamo invece la gloria a noi stessi, saremo privati di tale pace. La glorificazione del Signore e la sua adorazione sono, infatti, un dovere e un debito. Dio promette la sua pace a coloro che l’adorano in spirito e verità”. Le religioni musulmana, ebraica e cristiana “sono – ha affermato – unanimi nel dire che l’adorazione a Dio è in primo luogo un impegno essenziale e primordiale di amore. Possiamo essere fieri perché tra tutti i continenti e fra tutti i luoghi del mondo, Dio ha scelto proprio questa nostra terra, la Palestina, questo luogo, come patria del Salvatore, del Messia così lungamente atteso, che è la sua Parola e la sostanza della sua gloria”. Per il capo della chiesa madre di Gerusalemme il Natale non deve limitarsi “ad essere un dolce ricordo soggettivo e puramente emozionale, rivolto ad un passato ormai lontano” ma un messaggio “di amore, di giustizia e di pace per tutti i popoli, per ogni persona, per tutte le famiglie, un messaggio di pace, di cui abbiamo bisogno più che mai”.

Muri del cuore e muri di cemento. “La nostra regione – ha rimarcato Twal – sta attraversando delle trasformazioni radicali che hanno un impatto sul nostro presente e sul nostro futuro. Non possiamo rimanere semplici spettatori. Noi tutti, capi religiosi e coloro che hanno nelle mani il destino dei popoli, dobbiamo fare il possibile per proteggere i nostri popoli, lavorando per la loro sopravvivenza e per realizzarne le aspirazioni. Noi siamo con il nostro popolo con tutte le nostre forze, perché le sue sofferenze e le sue speranze sono le nostre”. Da qui l’auspicio che la festa di Natale ponga fine alla cultura di violenza e di morte e ispiri una soluzione alle divisioni internazionali e nazionali. La storia ci insegna che la volontà dei popoli, le loro aspirazioni di pace e libertà, sono più forti del potere dell’ingiustizia; possano scomparire i muri fisici e quelli psicologici che gli uomini costruiscono attorno a sé. Dio vuole dei ponti che uniscano invece di barriere che separino ciò che Dio ha congiunto. Cari fratelli e sorelle – è stato l’appello del patriarca – abbattiamo prima di tutto i muri nei nostri cuori per poter abbattere anche i muri di cemento!”.

La supplica dei bambini di Terra Santa. Ricordando la richiesta di riconoscimento all’Onu di uno stato palestinese, posta “con la speranza di una soluzione giusta al conflitto, con l’intenzione di vivere in pace e sicurezza con i loro vicini”, Twal ha chiesto pace, “soltanto pace, per il popolo palestinese, così come per il popolo israeliano, stabilità e sicurezza per tutto il Medio Oriente, perché i nostri bambini e i loro figli possano vivere la loro infanzia nell’innocenza, in un ambiente sano, e possano giocare insieme senza paura e senza complessi. Desideriamo – ha aggiunto – che la via percorsa dai nostri predecessori – i re magi e i pastori – per raggiungere Betlemme, rimanga libera, senza ostacoli, aperta ai pellegrini di tutto il mondo, compresi quelli del mondo arabo. In questa Notte Santa, i bambini di Terra Santa, compatrioti di Gesù Bambino, ci supplicano: ‘lasciateci crescere normalmente, donateci il tempo di giocare nei luoghi più ampi dei nostri paesi e delle nostre città, lontano dagli intrighi politici’”.

I discorsi non bastano più. “Non possiamo limitarci solo a pregare per la pace – ha, poi, rimarcato il patriarca di Gerusalemme – anche le buone intenzioni e i discorsi non bastano più. Cerchiamo la pace concretamente con tutte le nostre forze ed energie. La pace è donata agli uomini di buona volontà. Essa non si realizza senza veritieri e coraggiosi costruttori di pace, pronti a sacrificarsi per una nobile causa. La pace si riceve e si dona al tempo stesso”. Chiaro il riferimento ai governanti e ai capi delle nazioni del mondo intero. “O Bambino di Betlemme – ha concluso Twal- in questo nuovo anno mettiamo nelle tue mani il nostro tormentato Medio Oriente, soprattutto tutti i nostri giovani, pieni di legittime aspirazioni, questi giovani frustrati dalla situazione economica e politica e in cerca di un futuro migliore. Esaudisci i loro desideri e metti nei loro cuori il coraggio e la saggezza insieme allo spirito di responsabilità. In questa notte preghiamo per la pace e la riconciliazione in Siria, Egitto, Iraq e Africa Settentrionale. Questa riconciliazione ci fa scorgere il volto di Cristo negli altri”.