Toscana

Un’«Oasi» dopo il carcere per tornare a sperare

di Andrea Fagioli

Alle Due Strade, zona periferica di Firenze sulla Via Senese, due realtà viaggiano di pari passo ma s’incrociano spesso. È successo ad esempio alla vigilia di Natale con lo scambio d’auguri tra gli ospiti dell’«Oasi» e i parrocchiani di San Leone. «Oasi» significa comunità d’accoglienza dove convivono anziani ergastolani, quarantenni tossicodipendenti, giovani ragazzi soprattutto albanesi («Un paradigma generazionale dell’esclusione sociale»). San Leone significa una delle parrocchie più vivaci della città. Entrambe, comunità e parrocchia, sono affidate da alcuni anni ai padri Mercedari, che in precedenza gestivano solo la prima mentre la seconda era affidata ai Francescani. I religiosi sono tre in tutto, ma si danno un gran daffare visto che ai due incarichi ne aggiungono un terzo: la cappellania del carcere minorile.

Gli auguri natalizi sono ormai un momento tradizionale che unisce sempre di più la comunità di San Leone a quella dell’«Oasi». «Anche se in passato il rapporto con la gente del quartiere non sempre è stato facile», ammette il giovane direttore dell’«Oasi» nonché viceparroco di San Leone, padre Antonio Pinna, 36 anni, da sette a Firenze e da uno alla guida del centro d’accoglienza. «Fino a due anni fa venivano fatte – racconta – raccolte di firme per mandarci via. Ora il rapporto è cambiato nonostante si debbano fare ulteriori passi avanti sulla via della piena collaborazione».

I padri Mercedari arrivarono a Firenze all’inizio degli anni Cinquanta per fondare una comunità per ex detenuti: l’O.A.S.I., scritta con i puntini a significare Opera Assistenza Scarcerati Italiani. «Adesso il significato è diverso – spiega padre Pinna –: “Oasi” è metafora di un luogo di refrigerio, di riposo che si offre a persone che hanno vissuto l’esperienza del carcere o di altri forti disagi per proporre loro un percorso di scoperta delle proprie risorse, un cammino di riscatto umano».

In questi anni di presenza nel capoluogo toscano, si è formata attorno alla comunità una rete di strutture e di servizi adatta all’accoglienza e al reinserimento sociale. Per ognuna delle esigenze esiste una «casa»: il «Centro Mercede» per la pronta accoglienza (uno dei due presenti a Firenze) e l’ospitalità dei minori in stato d’abbandono; la «Comunità dimensione familiare Don Zeno» (in un’altra zona di Firenze, a Badia a Ripoli) per i minori provenienti dall’area penale; la «Casa Martino» con appartamento autogestito. Ma in caso di necessità, i religiosi sono pronti anche ad affittare appartamenti a loro nome da destinare ai giovani ospiti dell’«Oasi» il cui centro nevralgico si trova in Via Accursio. «Qui ospitiamo un massimo di 24 persone – spiega padre Pinna –: la metà sono adulti usciti dal carcere o con precedenti penali; l’altra metà sono persone con problemi di carattere sociale (senza casa o stranieri). Per tutti abbiamo un progetto di inserimento lavorativo». Un caso su tutti? «Quello di un uomo entrato in carcere a 35 anni e uscito dopo 23, che ha trovato lavoro in una cooperativa sociale per le pulizie nelle scuole e come custode di una sala congressi. Un uomo che si è rifatto una vita, ha messo su casa e anche la macchina. E questo, ripeto, dopo 23 anni di carcere».

Al «Centro Mercede» i minori sono attualmente nove, quasi tutti stranieri in stato d’abbandono. «Per loro – spiega ancora il direttore della Comunità – tentiamo un percorso di riavvicinamento ai parenti». A «Casa Don Zeno» si lavora invece sull’inserimento scolastico e i rapporti sociali. Lì i minori sono otto, mentre altri quattro giovani maggiorenni vivono a «Casa Martino». Nella maggior parte dei casi, il percorso si chiude con successo, ovvero con il reinserimento.

A fianco dei Mercedari lavorano 18 dipendenti, «tutto personale qualificato», sostenuto grazie alle convenzioni con il Comune di Firenze e con il Ministero di grazia e giustizia, «ma anche con la Provvidenza, che non manca mai. Mancano invece i volontari, o meglio: mancano i volontari del posto – dice padre Pinna – perché in molti casi c’è impreparazione e a volte anche un po’ di pregiudizio. Ma il bello è che i dieci volontari che abbiamo in questo momento sono ragazzi passati di qui, che in questo modo mantengono con noi un rapporto familiare ed esprimono il loro grazie».

La scheda Dalla liberazione degli schiavi alla pastorale dei detenuti I padri Mercedari, per la precisione l’Ordine di Santa Maria della Mercede è stato fondato in Spagna nel 1218 da San Pietro Nolasco (1180-1258) per liberare gli schiavi cristiani fatti prigionieri dai mori. Da allora l’attenzione alle nuove forme di schiavitù ha spinto l’Ordine ad occuparsi in particolare delle carceri e degli ex carcerati creando centri di accoglienza e parrocchie in tante città del mondo. Da qui l’estensione ad interessarsi anche di altre forme di disagio. In Italia i padri Mercedari sono presenti dal 1907 e si apprestano per questo a celebrare il centenario. Attualmente sono una sessantina, divisi in 13 comunità, dal Veneto alla Sicilia (Alghero, Brindisi, Cagliari, Caltanissetta, Carpignano, Firenze, Frascati, Napoli, Nemi, Orvieto, Padova, Palermo e Roma). La caratteristica è che in ogni città svolgono una pastorale del carcere e della parrocchia.

Per quanto riguarda il Centro «Oasi» di Firenze ricordiamo che ha sede in Via Accursio, 19 (zona Due Strade), che il numero di telefono è 055-2049112 e che altre informazioni si possono trovare sul sito internet (www.oasifirenze.it oppure www.padrimercedari.it) o chiedere tramite indirizzo di posta elettronica (oasi@oasifirenze.it).