Questo il tema della tavola rotonda «Muri abbattuti, cittadinanza da costruire», che si è tenuta in uno dei teatri tenda di Rondine durante le «Piazze di maggio», la settimana sulla cittadinanza che la Cei ha voluto fosse ospitata dalla diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro in preparazione al Convegno ecclesiale di Verona.Moderato da Paolo Nepi, l’incontro ha indagato sull’origine storica di tante «fortezze» che hanno una comune origine: la «paura» del diverso e dell’altro. «E’ la paura unita all’assenza della solidarietà tra gli uomini la situazione più pericolosa che possa accadere tra gli uomini – è la convinta affermazione di monsignor Pero Sudar, vescovo ausiliare di Sarajevo – E c’è un solo modo per abbattere i muri: vincere la paura. Come? Avere il senso della convivenza pacifica, della cittadinanza da difendere e la volontà di costruire una realtà nuova nell’interesse dei singoli, dei gruppi e delle nazioni, e tutto questo può derivare solo laddove vi siano fede e speranza». Dire questo non significa però dire addio per sempre alle guerre, che sono sempre in agguato. «Le guerre future saranno tra coloro che non mangiano e coloro che mangiano troppo». Un nuovo muro da abbattere, più sottile e ancor più pericoloso di altri.Patrick Convery, vice sindaco di Belfast, parla del muro che ha insanguinato per decenni la capitale dell’Irlanda del Nord. «Adesso c’è un miglioramento nei rapporti ma ci sono voluti decenni per arrivare a questo: credo che Belfast abbia insegnato a tutto il mondo che la violenza può portare solo violenza e che per andare – insieme – verso la pace, bisogna smettere di contare reciprocamente i morti e di investire la politica e la diplomazia della risoluzione delle controversie».Raffinato l’intervento di Jurgen Petzinger, giornalista berlinese, che, memore del suo muro di Berlino, ha parlato di una nuova forma di muro, invisibile, “intelligente”, quella legata alla tecnologia: tra chi ce l’ha e chi ne è privo. «I muri sono facilmente abbattibili quando le controversie si possono portare su un piano intellettuale, diventano insuperabili quando investono il piano dell’interiorità e dell’emotività», è l’opinione di Peter McKee, irlandese, esperto di gestione di conflitti. «La soluzione del conflitto deve essere sempre trovata a livello locale con una chiara idea progettuale, non imposta da terzi, diversamente degenererà con facilità. Così come – ed è la sua conclusione – non si può pensare di portare la pace con una soluzione a breve termine: è irrealistico. Occorrono almeno due generazioni, dobbiamo seminare oggi perché domani qualcuno possa raccogliere i frutti».Nel corso della stessa tavola rotonda a Rondine, il tema della cittadinanza è stato affrontato da Walter Heuber, dell’Università di Berlino, secondo cui «si può avere una vera cittadinanza politica solo se esiste una autentica cittadinanza sociale». E gli esempi di realtà dell’America latina sono stati più che esaustivi per dare corpo a questa affermazione. Tuttavia, una vera cittadinanza si può costruire solo con la «responsabilità di tutti, non solo dello Stato, a cui, forse troppo semplicisticamente, demandiamo la soluzione di tutti i conflitti», afferma Giovanni Moro, figlio dello statista democristiano assassinato dalla Br e presidente della Fondazione Cittadinanza Attiva. E’ possibile trarre una conclusione storica da tutto questo affinché le giovani generazioni possano attingere per costruire un domani migliore? Per tutti risponde Paolo Nepi. «I muri si abbattono, se guardiamo assieme il futuro. La storia va conservata, ma anche con la capacità di guardare avanti, che è compito proprio della politica».