Toscana

Uniti dalla pace, divisi dall’Iraq

di Claudio TurriniLo scorso anno, a Roma, per dire «no» alla guerra in Iraq scesero in piazza quasi due milioni di persone. Un serpentone variopinto, lungo 15 chilometri, che il 15 febbraio, in contemporanea con analoghe manifestazioni in tutto il mondo, dette voce a chi voleva scongiurare ad ogni costo l’attacco militare contro Saddam Hussein. Ad un anno di distanza il «popolo della pace» scende di nuovo in piazza con una manifestazione nazionale fissata per il 20 marzo, sempre a Roma, nel primo anniversario dell’attacco all’Iraq. Ma il clima è un po’ diverso, come ci conferma il fiorentino Nicola Piana, della rete Lilliput, uno degli organizzatori dell’evento a livello toscano. «Dopo lo scoppio della guerra, per il fatto di non esser riusciti a fermarla – ci spiega – c’è stato un calo di tensione, che si è protratto fino a novembre. Dopodiché con il Social Forum di Parigi e quello mondiale di Bombay l’interesse è tornato a crescere». Impensabile però che il 20 marzo ci si avvicini alle cifre dello scorso anno. Ma non è solo questione di numeri. Il variegato movimento per la pace, pur ricompattandosi su un contenuto «minimo», tratto dal «manifesto» dei movimenti pacifisti americani (stop all’occupazione militare dell’Iraq e pace in Medio Oriente) non ha trovato una piattaforma comune. Nel comitato «Fermiamo la guerra», che organizza la manifestazione e al quale hanno aderito un centinaio di sigle di associazioni, circoli e movimenti, sono emerse idee diverse su come costruire il nuovo Iraq, riassumibili in tre piattaforme: una della Cgil, una della Tavola della Pace e una del resto del comitato.

E non sono mancate neanche le polemiche come quelle innescate dall’area dei «disobbedienti» (Caruso, Casarini…) che hanno promesso «schiaffoni umanitari» ai parlamentari dell’Ulivo se avranno l’ardire di scendere in piazza il 20 marzo, dopo l’astensione in Parlamento sul decreto di proroga della missione italiana in Iraq. «Gli “schiaffoni” non li condivido assolutamente, precisa Piana – anzi come Rete Lilliput invitiamo tutti a partecipare secondo la propria coscienza… Ma almeno sono serviti ad attirare un po’ di attenzione sulla manifestazione».

Ma per la rete Lilliput (fatta di associazioni e singoli che, come i lillipuziani vogliono «ingabbiare» il «gigante» dei grandi interessi economici), più importante delle grandi manifestazioni è il lavoro di sensibilizzazione delle persone e di valorizzazione delle iniziative locali. Per questo lo scorso 28 febbraio sono partite dalla Sicilia, dal Friuli e dal Piemonte tre «Carovane della pace». In Toscana passeranno dal 12 (Sant’Anna di Stazzema) al 18 marzo (Grosseto) con sosta a Firenze il 14, dove per tutta la settimana precedente saranno tante le iniziative di riflessione e di dibattito.

Ma come vive questa vigilia di mobilitazione l’associazionismo cattolico toscano? Come già avvenne lo scorso anno c’è chi nel «movimento» ci si ritrova pienamente, chi con qualche distinguo e chi, pur condividendo il valore della pace, preferisce non lasciarsi coinvolgere. Tra questi la Compagnia delle Opere, riconducibile all’area di Comunione e Liberazione. Lo scorso anno – ci spiega il presidente regionale Paolo Carrai – abbiamo detto no alla guerra, ritrovandoci in pieno nella posizione del Papa, però non ci volevamo schierare su una posizione ideologica antiamericana. Per questo facemmo un volantino con su scritto “no alla guerra, sì agli Stati Uniti”». «La manifestazione del 20 marzo – aggiunge – penso sia tutta un’altra cosa, è passato un anno… ma noi ugualmente non aderiamo», il che non vuol dire che «non giudichiamo positivamente tutto ciò che viene fatto per la pace». Riguardo alla situazione in Iraq – continua Carrai – «chiediamo che venga dato al più presto un governo iracheno al popolo iracheno», cercando di porre rimedio ai «tanti errori commessi dagli alleati». Sul fronte critico anche il Movimento Cristiano Lavoratori (Mcl). «Non aderiamo perché riteniamo non sia questo il modo di manifestare un sentimento di pace – ci dice il presidente regionale Guglielmo Borri –. Queste manifestazioni sono sempre precedute da una serie di polemiche politiche; il rischio è quello di scendere in piazza per la pace ma anche contro qualcuno». Ma sulla guerra in Iraq la posizione del Movimento è un po’ diversa da quella di gran parte dell’associazionismo cattolico. «Anche se a distanza di tempo sono emersi elementi nuovi, come l’assenza di armi di distruzione di massa, che ci fanno riconsiderare il problema – ci spiega Borri – riteniamo ancora che fosse necessario eliminare questo governo dittatoriale che sosteneva il terrorismo internazionale».

Per l’oggi l’Mcl non ha una posizione ufficiale sulla missione italiana «ma come sensibilità diffusa c’è il sostegno ad una scelta che in questo momento non potrebbe essere diversa: pur con tutti i problemi, e nonostante il tributo pesante pagato dai nostri soldati, bisogna cercare di ricostruire un sistema sociale e democratico in un paese che se fosse abbandonato a se stesso finirebbe in condizioni anche più gravi di quando è iniziato l’intervento». Certo, l’ottimo sarebbe che la missione fosse «sotto l’egida dell’Onu anche se in questa fase forse è difficile perché non ci sono le condizioni».

A Roma l’Agesci invece ci sarà, anche perché è tra i promotori della Tavola della Pace. Ma, come ci spiega il responsabile regionale, il pratese Marco Barni, «in questa fase preferiamo stare un po’ a vedere». Su questi temi non c’è una posizione ufficiale dell’associazione: «sui principi siamo assolutamente d’accordo – precisa – ma nel campo delle analisi specifiche è molto difficile entrare». A metà aprile è in programma un’assemblea regionale: «non so se discuteremo di questi temi, però mi sembra che il comune sentire dei capi scout sia di essere meno schierati». Del resto ultimamente, osserva ancora Barni, «anche la Tavola della Pace ha assunto una posizione più critica verso il movimento per la pace che è apparso molto schierato su posizioni, per altro rispettabili, ma meno adatte per un coinvolgimento di tipo associativo. Personalmente imbarazza me e anche la mia associazione quando le posizioni diventano di un certo tipo. Esiste un limite oltre il quale le associazioni come la nostra non si possono spingere e questo limite lo si sta passando: non è più una battaglia sui principi… quando si critica il voto al finanziamento delle missioni si fa un’affermazione di logica e strategia politica. A quel punto un’associazione come la mia non ha titolo di entrare».

Ciò non toglie che il giudizio sulla guerra sia rimasto invariato: «un’iniziativa sciagurata sotto tutti i punti di vista, con l’effetto di allargare le divisioni, l’odio, la pericolosità. Non è cambiato niente rispetto alla posizione che avevamo preso lo scorso anno», ci conferma Barni. Alla manifestazione aderiscono anche le Acli, nonostante che capiti in un momento infelice: l’associazione sta infatti celebrando i congressi (il 14 marzo si svolgerà quello regionale e dal 1° al 4 aprile quello nazionale) e rinnovando tutta la sua classe dirigente. Sulla situazione in Iraq il giudizio è molto netto, così come era avvenuto un anno fa. «Noi siamo contrari al rifinanziamento della missione italiana, almeno che non venga messa sotto l’egida dell’Onu – ci spiega il presidente regionale Antonio Nicolò –. Non è stato sconfitto il terrorismo; non sono state trovate le armi di distruzione di massa, che erano il pretesto dell’intervento; è stato catturato Saddam Hussein – e questo naturalmente ci fa piacere – ma non sappiamo che fine abbia fatto; Bin Laden non sappiamo se e quando sarà catturato, nonostante le ultime voci; siamo ancora ad una sostanziale occupazione militare del paese…». Le Acli chiedono invece «interventi umanitari con il coinvolgimento anche delle truppe italiane, purché sotto l’Onu, per arrivare al più presto all’autodeterminazione del popolo iracheno».

Qualche motivo di dissenso con i «pacifisti» però c’è: «Noi preferiamo essere definiti operatori di pace – precisa Nicolò – e non intendiamo il pacifismo come coloro che non prevedono nessun tipo di intervento militare: noi siamo anche per l’uso della forza, però il problema è chi prende queste decisioni».

Anche l’Azione Cattolica chiede di far chiarezza sui termini: «Noi siamo “operatori di pace” – ci dice il delegato regionale Enzo Cacioli – un termine che ci distingue dal pacifismo senza concretezza, ma ci distingue altrettanto, e con maggior ragione, dai cosiddetti “pacificatori”, cioè da coloro che con questo termine intendono l’imposizione della pace anche con la forza, la prevaricazione, il disprezzo del diritto internazionale».

Alla manifestazione romana l’Azione Cattolica ci sarà e senza imbarazzi nel trovarsi insieme a persone di diversa sensibilità ed estrazione perché «i cristiani condividono con tutti gli uomini di buona volontà la prospettiva della pace, dello sviluppo e dell’unità del genere umano, al di là di ogni scontro e di ogni imposizione forzata…».

Ma nell’adesione vuol portare anche un suo contributo specifico: «Come Delegazione regionale – aggiunge Cacioli – condividiamo pienamente gli obiettivi della manifestazione del 20 marzo, riaffermando contestualmente il valore delle due prospettive che il Papa ci ha indicato nel messaggio del 1° gennaio 2004: la prima è quella della centralità e priorità della formazione della coscienza degli uomini per la realizzazione della pace, dello sviluppo e dell’evoluzione del processo storico di unità del genere umano; la seconda è la riaffermazione del diritto internazionale come strumento centrale e prioritario per la realizzazione della pace. È chiaro che in questa logica l’Onu e tutti i soggetti che hanno un’azione internazionale o addirittura planetaria sono gli strumenti per la realizzazione dell’azione di negoziazione e di pace».

La manifestazioneLa manifestazione nazionale del 20 marzo a Roma è promossa dal comitato «Fermiamo la guerra» (www.fermiamolaguerra.it), al quale hanno aderito, tra gli altri, Arci, Agesci, Acli, Cisl, Cgil, Beati Costruttori di pace, Manitese, Pax Christi, Rete Lilliput, Tavola della Pace e Focsiv. Vuol essere una risposta all’appello dei pacifisti americani di «fare del 20 marzo, ad un anno dall’invasione dell’Iraq, una giornata mondiale per il ritiro delle truppe d’occupazione, contro la guerra e per la pace in Medio Oriente», partirà alle 14 da piazza della Repubblica per concludersi a piazza San Giovanni. Dal 28 febbraio sono partite – due al Nord e una al Sud – tre «carovane della pace» che arriveranno a Roma il 20 marzo. Le missioni italianeIl Consiglio dei ministri ha rifinanziato con decreto legge n. 9 del 20 gennaio 2004 la partecipazione italiana a operazioni internazionali, prorogandole fino al 30 giugno 2004. In sede di conversione in legge del decreto il centro-sinistra ha contestato al governo l’aver messo insieme a quella in Iraq – sulle cui modalità non è d’accordo – tutte le altre, per le quali invece avrebbe votato a favore. Ecco una scheda delle nostre missioni all’estero che vedono impegnati circa 8 mila militari italiani.

• ACTIVE ENDEAVOUR – Forza navale Nato nel Mediterraneo Orientale per sostenere la campagna contro il terrorismo internazionale. L’Italia partecipa con circa 180 militari.

• ALBANIA 2 – Il compito è di pattugliare le acque territoriali albanesi ed il mare Adriatico per prevenire e contenere l’emigrazione clandestina. Iniziata nel 1997, vi partecipano circa 150 uomini della Marina.

• ALBIT – Nata per ristrutturazione la scuola di volo dell’Aeronautica albanese. Vi partecipano circa 110 militari dell’Aeronautica italiana.

• ANTICA BABILONIA – Alla missione in Iraq partecipano oltre 2.700 militari.

• ENDURING FREEDOM – Contro il terrorismo internazionale dal novembre 2001, nel mare Arabico, con due missioni collegate: Active Endeavour e Resolute Behaviour. Attualmente sono 242 i militari impegnati • EUMM – Missione dell’Unione Europea nei Balcani (Albania, Bosnia Erzegovina, Croazia, Serbia, Montenegro e Kosovo), dal 1991, con il compito di monitorare, in particolare, la fase di ritorno dei dispersi e dei rifugiati: 15 militari italiani. • EUPM – Missione dell’Unione Europea in Bosnia Erzegovina finalizzata, tra l’altro, a potenziare le capacità operative della polizia locale. La partecipazione italiana consiste in 23 carabinieri. http://www.eupm.org/

• EUPOL PROXIMA – Missione di Polizia dell’Unione europea in Macedonia.

• ISAF – Operazione multinazionale, su mandato Onu e a guida Nato, per assistere il governo afgano. 525 militari italiani tra Kabul e ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti. • JOINT FORGE – Operazione a guida Nato in Bosnia Erzegovina, su mandato Onu, attuata per consolidare il processo di pace nella regione: 1500 militari (contingente Italfor Bosnia)

• JOINT GUARDIAN – Operazione in Kosovo, a guida Nato, su mandato Onu, per verificare i termini del Military Technical Agreement tra Nato e i rappresentanti della Rfj: 3.937 uomini

• MIATM – Missione a Malta attuata a seguito di accordi bilaterali con compiti di assistenza tecnica alle Forze armate maltesi. Circa 50 militari.

• MINURSO – Missione Onu in Sahara Occidentale per monitorare il cessate il fuoco tra il Marocco e il Fronte polisanio. 5 militari. • MFO – È una organizzazione internazionale indipendente istituita in attuazione del trattato di pace del 1979 tra Egitto e Israele, con compiti di osservazione terrestre e navale nell’area di confine tra i due Paesi. 83 militari e tre navi della Marina.

• NATO HQ SKOPJIE – Dal 2001 le autorità della Fyrom (Former Yugoslav Republic of Macedonia) hanno chiesto alla Nato consulenza e sostegno per la stabilizzazione del Paese: 40 militari.

• NHQT – Comando multinazionale a base italiana in Albania con il compito di promuovere il coordinamento tra il governo albanese e la Nato, assistere le autorità albanesi e monitorare le linee di comunicazione di interesse del comando Kfor in Kosovo. 360 militari italiani.

• TIPH 2 – Monitorare e favorire i rapporti fra residenti palestinesi e coloni israeliani nella città di Hebron, in Cisgiordania.

• UNIFIL – Missione Onu per il controllo del ritiro delle truppe israeliane dal Libano: 51 militari e 4 elicotteri.

• UNMEE – Missione Onu (dal 2000) per verificare l’osservanza degli accordi sottoscritti tra Etiopia ed Eritrea. 50 militari circa.

• UNMIK – Missione Onu in Kosovo con il compito di monitorare l’attuazione del cessate il fuoco, alla quale l’Italia partecipa oggi con una sola unità.

• UNMOGIP – Missione Onu (dal 1949) per supervisionare il cessate il fuoco lungo il confine tra India e Pakistan, nelle aree dello Jammu e del Kashmir: 7 osservatori.

• UNTSO – Missione Onu con il compito di controllare il rispetto della tregua tra Israele, Egitto, Libano, Giordania e Siria, come concordato nell’armistizio del 1949. Gli italiani vi partecipano dal 1958, attualmente con 6 militari.

Sei favorevole o contrario al proseguimento della missione militare italiana in Iraq? Vai al sondaggio

www.fermiamolaguerra.it

Le missioni italiane da www.difesa.it

La scheda sulle missioni italiane nel sito dell’Esercito

Rete Lilliput

Mcl

Agesci

Acli

Azione Cattiolica

Compagnia delle Opere

Tavola della Pace

Pax Christi

Cisl