Opinioni & Commenti
Unioni civili, una legge è necessaria, ma questo testo è ipocrita
Nell’attuale dibattito in tema di unioni civili occorre, preliminarmente, un chiarimento concettuale. Questo termine, nel passato, era stato utilizzato in senso generico per parlare di convivenze stabili non matrimoniali tra due persone, di uguale sesso o di diverso sesso: è a questo tipo di unione che, ad esempio, si riferivano i «Dico». Oggi il dibattito si è spostato, perché con questo termine, ad esempio nel disegno di legge Cirinnà, si fa riferimento alle sole unioni tra due persone dello stesso sesso. Sta fuori da tale dibattito, dunque, il tema delle unioni non matrimoniali tra persone di sesso diverso, che infatti nello stesso ddl sono trattate a parte (e che pongono problemi logici e giuridici di tipo differente). Concentriamo dunque l’attenzione sulle unioni omosessuali.
Per la Corte Costituzionale, l’intera disciplina del matrimonio, e quindi della famiglia, «postula la diversità di sesso dei coniugi, nel quadro di una consolidata ed ultramillenaria nozione di matrimonio». Quindi il matrimonio tra coppie dello stesso sesso è vietato dalla Costituzione. Si potrà discutere di tale interpretazione (e molti ne discutono, criticandola), ma questo è – al momento, almeno – un punto fermo. In secondo luogo, sempre secondo la Corte, la Costituzione, nel tutelare le formazioni sociali, tutela «anche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri». Anche tale interpretazione può ovviamente essere discussa (e lo è, per lo più da parte di quelli che sostengono invece la posizione precedente): ma anch’essa, al momento, così è. Mettendo insieme le due posizioni, la conclusione sembra obbligata: compito del legislatore è introdurre una disciplina che tuteli e non discrimini le coppie omosessuali, senza tuttavia equipararle alla famiglia. Questo è il crinale sul quale dovrebbe muoversi il legislatore: un crinale assai stretto e scivoloso, nel quale con molta facilità si rischia di cadere da un lato (tutelando troppo poco le coppie omosessuali, e quindi discriminandole) o dall’altro (equiparando la loro tutela a quella del matrimonio e quindi della famiglia).
In ogni caso, mi pare che sull’esigenza indicata vi sia ormai una condivisione diffusa, sebbene non manchino coloro che tutt’ora ritengono che ogni legge che neghi il matrimonio (sic et sempliciter) agli omosessuali sia una «regressione di civiltà» e chi, d’altro canto, lamenta che ogni tutela delle coppie omosessuali sia, in quanto tale, una violazione del primato della famiglia garantito dalla Costituzione. Posizioni legittime, ovviamente, sul piano delle idee personali: ma, per quanto ho detto, contrarie al diritto costituzionale vigente.
Il dibattito politico, dunque, si dovrebbe concentrare nella ricerca di quel «crinale» sopra indicato: che richiederebbe un confronto serio ed aperto, profondo e leale, proprio perché difficile nelle soluzioni da individuare. Un confronto per il quale bisognerebbe abbandonare le posizioni radicali sopra indicate.
Quale è al riguardo la soluzione del disegno di legge Cirinnà? Esso segue la prima parte del discorso sopra illustrato, in quanto disciplina l’unione tra persone dello stesso sesso ponendo attenzione a non definirle «matrimonio», perlomeno al momento della loro stipulazione: ma tutta la disciplina successiva consiste in un sostanziale e massiccio rinvio al matrimonio (compreso lo scioglimento, che infatti si chiamerebbe «divorzio»!). In sostanza, le unioni civili non si chiamerebbero matrimonio, ma ne avrebbero la pressoché integrale disciplina (salva l’adozione, almeno in termini generali: perché resta al momento aperto il discorso sulla stechild adoption).
È difficile allora non essere d’accordo con mons. Galantino, che ha osservato come il testo sia avvolto da «un velo d’ipocrisia». Ma vi è di più, perché il testo potrebbe prestarsi anche a censure di incostituzionalità: quale sarebbe infatti la ragionevolezza di differenziare matrimonio e unioni civili soltanto su alcuni marginali aspetti? In altri termini: o la differenza tra il matrimonio e le unioni civili ha aspetti sostanziali e consistenti, o altrimenti il rischio di violazione del principio di eguaglianza da un lato, e del primato da riconoscere alla famiglia dall’altro sarebbe facilmente verificabile.
* Costituzionalista