Opinioni & Commenti
Unione Europea, vietato fallire
La Cig ha lavorato sodo partendo dalla bozza di Trattato stesa dalla Convenzione; alla presidenza di turno (con in testa il premier Silvio Berlusconi e il ministro degli esteri Franco Frattini) è toccata una costante mediazione sui capitoli più delicati della futura Magna Charta: il voto in seno al Consiglio europeo; la composizione della Commissione; la figura del ministro degli esteri Ue. Molti sono stati i nodi sciolti in questi due mesi di lavoro della Cig, che peraltro si è attenuta in gran parte al testo firmato dal presidente della Convenzione, il francese Valery Giscard d’Estaing. Ma diverse altre questioni rimangono da definire: basterebbe ricordare il dossier sulla politica di difesa e l’eventuale citazione delle “radici cristiane” del continente nel Preambolo costituzionale. Su entrambe le tematiche una convergenza è quasi certa: positiva nel primo caso, negativa nel secondo. Nessun leader sembra infatti intenzionato – al di là di tante dichiarazioni di principio – a farsi in quattro per scrivere nel “dna” dell’Ue il riferimento all’eredità cristiana.
Restano invece aperti due nodi “istituzionali”. Il primo riguarda la composizione della Commissione: come richiesto dai paesi più piccoli, dai nuovi “soci” dell’Ue e da Romano Prodi, probabilmente si giungerà a definire la regola “uno Stato, un commissario”. Il secondo problema aperto è quella del voto, quindi del “peso” dei singoli Stati nel Consiglio. Si sta trattando attorno alla cosiddetta regola della “doppia maggioranza”: una decisione sarebbe valida – salvo le materie in cui è d’obbligo l’unanimità, purtroppo ancora numerose – se approvata dalla metà degli Stati membri che rappresentino il 60% della popolazione. Ma tale opzione non soddisfa Spagna e Polonia che, con il metodo attualmente in vigore approvato a Nizza tre anni or sono, godrebbero di un peso sovrastimato rispetto alla loro popolazione. Su questo c’è un reale rischio di rottura. Il peggio che potrebbe capitare sarebbe quello di mandare tutto a monte (sul problema del voto o su qualsiasi altro ostacolo), rinviando sine die la definizione della Costituzione. Un rischio assolutamente da evitare, che obbliga ciascuno ad un surplus di responsabilità.
Giungere infatti all’allargamento e al rinnovo del Parlamento di Strasburgo senza un nuovo Trattato fondativo, causerebbe una brusca frenata al percorso di integrazione, mortificherebbe le aspirazioni dei nuovi aderenti, scontenterebbe i Paesi fondatori, con una Ue costretta a navigare in bassi fondali, mettendo da parte le aspirazioni verso una maggiore coesione e un più serrato sviluppo economico, le invocate riforme sociali, l’obiettivo di un maggior peso dell’Ue sullo scacchiere mondiale.