Opinioni & Commenti
Un’informazione libera e pluralista è indispensabile per la democrazia
Nella Sala del Mappamondo, all’interno di Montecitorio, a Roma, mercoledì 28 settembre si è tenuta l’Assemblea nazionale dell’editoria cooperativa, di idee, non profit e di partito promossa da Articolo 21, Fisc, Slc-Cgil, Federcultura-Confcooperative, Comitato per la libertà e il diritto all’informazione alla cultura e allo spettacolo, Fnsi, Mediacoop-Legacoop, Media non profit. All’incontro è intervenuto anche il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’editoria, Paolo Bonaiuti, che dovrebbe ora convocare tutti gli organismi cui fanno capo gli operatori della comunicazione, compresa anche la nostra Federazione dei settimanali cattolici, per rivedere il sistema dei contributi all’editoria. Al termine dell’assemblea è stato approvato un documento su «Informazione libera e pluralista condizione indispensabile per lo spessore e la qualità della democrazia», che riportiamo di seguito.
La logica del mercato non garantisce una informazione libera, autonoma e pluralista. Porta tendenzialmente al monopolio ed alla omologazione. Ne è prova l’attuale allocazione delle risorse pubblicitarie: il 56% è indirizzato verso l’emittenza, a beneficio pressoché totale di Rai-Mediaset, e solo il 36% verso la carta stampata, in gran parte a favore dei grandi gruppi editoriali. Il mercato della pubblicità, così, penalizza le testate piccole e medie e discrimina oltre ogni misura i «giornali di idee», cooperativi, non profit e di partito. Per correggere le distorsioni del mercato ed in attuazione dell’art. 21 della Costituzione, sin dai primi anni ottanta del secolo scorso è stato costituito un Fondo per il sostegno all’editoria; sostegni simili sono attualmente garantiti anche negli altri Paesi avanzati.
Nel quadro del processo di risanamento dei conti pubblici il Fondo è stato drasticamente ridotto, ben oltre quanto operato in altri comparti: i contributi diretti sono passati da oltre 240 milioni ai 180 del 2010 ed ai 90 del 2011. Con tali risorse gran parte di questo mondo della comunicazione non sopravviverà al 2011 con gravi danni economici e sociali e con l’impoverimento del pluralismo nel sistema dell’informazione. Verrebbe sancito il fatto che soltanto i possessori di capitali possono manifestare liberamente il proprio pensiero. Scompariranno testate locali che raccontano la vita delle comunità, essenziali per garantire un’informazione pluralistica nella provincia italiana. E chiuderanno testate nazionali, anche di grande valore culturale, riducendo il controllo, libero ed indipendente, del potere centrale e diffuso, cancellando la possibilità di dare presenza e voce a forze sociali rilevanti ed a orientamenti politici e culturali largamente presenti nella società italiana, con danno grave per la democrazia e per la ricerca dialettica di una verità possibile.
Con la chiusura di un centinaio di testate si brucerà un giro d’affari che sfiora il mezzo miliardo di euro che ricadrà pesantemente anche sull’indotto, già in grande difficoltà. Si porranno problemi per l’occupazione diretta ed indiretta che riguarderanno circa 4000 lavoratori con un onere per lo Stato, in termini di ammortizzatori sociali, valutabile pari, se non superiore all’impegno richiesto per il rifinanziamento del Fondo, senza contare i danni per le casse previdenziali. Limitandosi soltanto ai quotidiani, l’offerta informativa, che è già modesta e calante, perderebbe più di 400.000 copie diffuse giornalmente. La cancellazione di oltre cento testate, sarebbe una sciagura per un bene comune quale è l’informazione pluralista di questo Paese e non sarebbe un vantaggio neppure per il risanamento dei conti pubblici.
È per questo motivo che chiediamo al Governo ed al Parlamento di provvedere, in occasione della stesura del «Decreto sviluppo» ovvero della prossima «Legge di stabilità», a rifinanziare il Fondo editoria di quel minimo indispensabile necessario per evitare la sciagurata prospettiva della chiusura dell’editoria di idee, cooperativa e non profit e di partito. E deve essere questa anche l’occasione per introdurre, come ripetutamente sollecitato, ulteriori norme di rigore allo scopo di evitare che il sostegno pubblico finisca a soggetti e testate che gettano discredito sull’intero settore.