Opinioni & Commenti
Una sfida alla famiglia che si poteva evitare
di Giorgio Campanini
Viviamo in una stagione in cui forte e insistente è il richiamo al rispetto delle differenze: giustamente si rivendica il diritto delle minoranze etniche, religiose, culturali ad esprimere pienamente se stesse all’interno di una società pluralistica che non pretenda né di assorbire né di omologare.
In questo universalmente condiviso atteggiamento sembra, voglia introdursi con il dibattito politico in corso sulle unioni civili una spinta in senso contrario, e cioè a favore dell’uniformità e dell’allineamento. È quanto sta avvenendo a proposito di tre realtà profondamente diverse fra loro, e cioè la condizione matrimoniale, le convivenze di fatto, le relazioni omosessuali. Chi si fa in tutti gli altri campi portabandiera della difesa delle differenze, in questo caso si è schierato a favore della omologazione e vorrebbe che fossero sostanzialmente chiamate con lo stesso nome realtà profondamente diverse. Anche chi, per la sua tradizione, non dovrebbe condividere l’esasperato individualismo dei radicali e dei nichilisti, finisce invece, per debolezza intellettuale o per supino conformismo, per appiattirsi sulle loro posizioni, come sembra accadere ad una certa sinistra che, un tempo portatrice di una severa cultura dei doveri, sembra ora fare propria la sola cultura dei diritti (veri o presunti).
È dunque importante che parziali riconoscimenti che si vogliano introdurre nell’ordinamento giuridico a favore di forme di relazione diversa dal matrimonio per ragioni umanitarie alle quali non possono essere insensibili gli stessi credenti non mettano in discussione né lascino in ombra e differenze. Nella misura in cui si intendano accordare alcune limitate tutele alle convivenze è necessario che sia tracciata una frontiera fra ciò che per deliberata scelta è e vuole essere precario e ciò che invece vuole essere un impegno, tendenzialmente irrevocabile, di reciproca fedeltà, e cioè un patto per la vita.
Il disegno di legge approvato dal Governo dopo una lunga e defatigante trattativa appare nel complesso rispettoso delle differenze e ben lontano dall’accordare quella equiparazione che da più parti era stata richiesta; emblematico il silenzio sulle adozioni, per le quali nulla appare innovato rispetto all’attuale stato di cose. Quanti si sono fatti promotori di questa mediazione dovranno vigilare, in sede parlamentare, perché il delicato equilibrio raggiunto non venga stravolto.
La legge che si prospetta (e che avrebbe potuto essere evitata, come l’episcopato ha sottolineato attraverso un intelligente ricorso alla legislazione esistente) rappresenta una indubbia sfida alla famiglia fondata sul matrimonio. Spetterà alle coppie sposate mostrare, non sul piano astratto, la superiorità, insieme etica e sociale, di un impegno di fedeltà che vige tendenzialmente per sempre e che si apre alla generazione della vita, ed ancor più alla sua cura prolungata nel tempo rispetto ad altre forme, decisamente «minori» di convivenza. In questo senso si può affermare che il rischio di uno «scardinamento» del matrimonio potrebbe provenire, assai più che da incaute innovazioni legislative, da una lenta e progressiva corrosione di un’istituzione che viene costantemente aggredita su ogni fronte. Una più alta qualità del matrimonio dovrà essere la più convincente risposta alla sfida della precarietà e della provvisorietà: un importante compito formativo ed educativo incombe dunque sulla società civile e sulla comunità cristiana.
Sia consentita, per finire, una piccola postilla. Dopo che il matrimonio è stato a lungo bistrattato, dopo che se ne è ripetutamente denunziato il carattere repressivo, borghese, paternalistico, anti-femminile, e così via, non appare singolare questa sorta di «corsa al matrimonio», seppure per vie traverse? Forse si è di fronte ad una strana e un poco paradossale mescolanza di invidia e di nostalgia.