Opinioni & Commenti

Una responsabilità in più sulle spalle dei cattolici

di Domenico Delle Foglie

In principio fu un editoriale di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera a lanciare l’allarme per il ritardo nel programma delle celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia. Poi è stato tutto un susseguirsi di prese di posizione, anche durissime, che hanno riproposto la disunità reale del Paese, quella che più dovrebbe preoccupare le nostre classi dirigenti. Sino alla ferma presa di posizione del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che dell’unità del Paese è il garante.

Un ruolo di tutto rilievo, con la sua consueta forza collaudata in anni di solida occupazione del territorio, è stato svolto dalla Lega Nord che punta a ridurre le celebrazioni a un mero fatto folcloristico. In nome e a tutela di quella patria dei sogni che è la Padania. Una terra che, a dispetto di tanti analisti raffinati, già vive nell’immaginario delle popolazioni del Nord, consolidata peraltro da anni di buon governo locale degli amministratori leghisti.

Ora, dinanzi ad un quadro così complesso, è evidente che non saranno le celebrazioni per l’Unità d’Italia a spazzare via il sospetto che il federalismo fiscale altro non sia che una tappa verso la secessione silenziosa. Gìà l’Italia è un Paese a due velocità, con un centronord che non smette di pedalare e un Sud che continua ad arrancare. Inoltre, non emergono né un’idea di nazione che funga da collante per l’intero Paese né una classe dirigente che sappia coagularla. Dinanzi a questo quadro pieno di ombre e all’assenza di una proposta di governo davvero nazionale, che piuttosto si adegua alle due velocità, grande è la responsabilità dei cattolici. E qui si avverte tutto il paradosso: in fondo, chi ha subito l’Unità d’Italia più di altri, con tutti i suoi pesantissimi costi, oggi è chiamato a difenderla. Ma in nome di cosa? Certo, il valore fondante è quello della solidarietà che guida tanti uomini e donne di questo Paese, al di là di ogni distinzione territoriale. Ma c’è qualcosa di più. Nessuno, come i cattolici, ha sperimentato il valore del federalismo così come quello della partecipazione. Cosa sono in fondo le nostre diocesi, se non una forma dell’essere Chiesa o popolo di Dio in un preciso contesto territoriale? Eppure, nessun cattolico si sognerebbe di affermare la propria estraneità ad una realtà più ampia qual è la Chiesa italiana. Ma soprattutto non c’è angolo d’Italia dove non venga celebrata un’eucarestia in italiano e dove non ci sia una comunità cristiana che ti faccia sentire comunque a casa, anche se si è lontani centinaia di chilometri dalla propria.

Sarà davvero difficile tornare a dividere questo Paese, almeno sino a quando la rete della fede e delle opere sociali dei cattolici sarà forte. Una responsabilità in più sulle spalle del mondo cattolico, la cui voce forse dovrebbe farsi sentire di più nel discorso pubblico. Anche per dimostrare che quando si parla di radici cristiane, non si fa riferimento ad un astratto universo culturale, bensì a un popolo che resta unito, al di là delle sirene dei localismi e degli egoismi.