Cultura & Società
Una nuova ricerca sulle cause dell’autismo
Con il termine «autismo» si fa riferimento ad un gruppo di disturbi di natura neurobiologica – più correttamente definiti come «Disturbi dello spettro autistico» (ASD) – i cui sintomi si manifestano precocemente e permangono per tutto il corso della vita.
I dati ufficiali più aggiornati (fonte: Center for disease control and prevention epidemiology program office) indicano un’incidenza mondiale di questa condizione pari a 1 su 59 bambini nella fascia di età di 8 anni.
Pur nelle differenti manifestazioni cliniche, tipicamente, gli ASD sono caratterizzati da due elementi principali: deficit nella comunicazione e nell’interazione socialecomportamenti e interessi ristretti e ripetitivi. Questi sintomi basilari possono anche essere accompagnati, in misura più o meno marcata, da disturbi sensoriali, problemi del sonno, di alimentazione, disarmonie motorie, disarmonie nelle abilità cognitive, scarsa autonomia personale e sociale, autolesionismo, aggressività.
Per lungo tempo l’autismo è stato considerato esclusivamente come un problema psicologico, dovuto all’interazione del soggetto con l’ambiente, in particolare con genitori freddi e distaccati. Negli ultimi decenni, invece, l’impegno degli studiosi ha potuto progressivamente metterne in evidenza la forte componente ereditabile (e quindi organica), grazie soprattutto ai primi studi sui gemelli, condotti a partire dalla seconda metà degli anni ’70. In questi decenni, infatti, molte ricerche genetiche hanno potuto verificare la connessione tra alcune mutazioni a carico di singoli geni e il rischio d’insorgenza del disturbo autistico.
Ultimamente, però, i risultati ottenuti hanno suggerito agli studiosi un cambiamento di paradigma, ovvero il passaggio da un modello in cui singoli geni erano ritenuti la causa del disturbo ad un modello più complesso, in cui diversi geni mutati contribuiscono ad alterare il normale sviluppo di diversi tipi di cellule della corteccia cerebrale del feto. Tuttavia, finora, nessuno è riuscito a determinare con precisione i periodi critici di sviluppo fetale, né gli strati cellulari alterati, né i meccanismi molecolari correlati all’insorgenza del complesso insieme di segni e sintomi dell’autismo.
In questo scenario si inseriscono gli innovativi risultati di una recente ricerca (pubblicata su «Nature Neuroscience»), realizzata da un gruppo internazionale coordinato da Fred Gage, del Salk institute for biological studies di La Jolla (California, USA). In base ad essa, pare che le cellule staminali della corteccia cerebrale di soggetti con disturbo dello spettro autistico abbiano in realtà uno sviluppo diverso rispetto a quelle di soggetti non affetti, a causa del fatto che i loro programmi genetici si attivano in una fase più precoce rispetto alla norma. Anche se basato su cellule in coltura, questo studio contribuisce quindi a delineare un modello più preciso e coerente dell’origine neurobiologica dell’autismo.
In pratica, Gage e i suoi colleghi, dopo aver prelevato alcune cellule dalla pelle di otto soggetti autistici e di cinque sani (gruppo di controllo), le hanno riportate allo stadio di staminali pluripotenti indotte, mediante tecniche di manipolazione che consentono di far percorrere a ritroso il percorso di differenziazione e maturazione delle cellule. Quindi, le cellule staminali pluripotenti così ottenute sono state indotte a ridifferenziarsi in un tipo cellulare diverso da quello originario, ovvero in neuroni. Tale processo, indotto dai ricercatori sia nelle cellule derivate da soggetti con disturbo dello spettro autistico che in quelle dei soggetti sani, è stato poi seguito e analizzato nei suoi passaggi, con un particolare attenzione al processo di attivazione e disattivazione dell’espressione dei geni che accompagna la maturazione cellulare. Gli studiosi si sono così accorti che uno dei primi programmi genetici, associato allo stadio di cellula staminale neurale, si attivava prima nelle cellule di soggetti autistici che in quelle di soggetti normali. Di conseguenza, i neuroni si sviluppavano più in fretta, finendo per dare origine a ramificazioni più complesse rispetto al gruppo di controllo. Inoltre, la ricerca ha evidenziato come, in entrambi i gruppi, facendo sviluppare in neuroni le staminali pluripotenti indotte, in modo da saltare la fase di staminale neurale, non emergevano le stesse differenze.
Insomma, siamo di fronte un piccolo passo in più nella comprensione di questa condizione e, insieme, alla possibilità di trovare un rimedio efficace contro di essa.