Lettere in redazione
Un sindaco provvisorio scelto da una minoranza
Ho dovuto prendere atto che un gruppo di fiorentini che assomma al 34,4% è riuscito a conquistare il Comune di Firenze, eleggendo a sindaco Matteo Renzi.
Per evitare un ulteriore degrado della partecipazione civica alla vita pubblica, premesso che il Sindaco Matteo Renzi: è inviso e/o ignorato dal 65,6% dei fiorentini, con la propria lista ha ricevuto la delega solo del 3,6% dei fiorentini, oggettivamente non rappresenta la città, la Legge gli consente una possibilità minima di governo, dovrebbe avere il coraggio, anzi l’ambizione, di dichiararsi pubblicamente «Sindaco provvisorio».
Una «carica speciale» per attivare una gestione meramente ordinaria. Grazie a detto esempio, Matteo Renzi avrebbe titolo di chiedere ai vari partiti, movimenti, comitati di prendere atto della diserzione alle urne di oltre un quarto dei fiorentini aventi diritto al voto. Di attivare una presa di coscienza della realtà per iniziare ad ascoltare le istanze dei cittadini per inserirle in programmi compiuti e concreti per la città. Quindi, una volta raggiunta la rinascita della partecipazione del cittadino alla vita pubblica, dimettersi, attivando nuove elezioni comunali.
Trovo questo modo di ragionare stravagante e pericoloso. Contiene anche delle inesattezze, perché le civiche «Lista Renzi» (10,553 voti, pari al 5,43%) e «Facce nuove a Palazzo Vecchio» (3.961 voti, l’1,90%) erano solo due delle sei liste che lo appoggiavano e anche chi ha votato Pd, o Idv ad esempio lo ha scelto come sindaco. Alla fine, nel turno di ballottaggio, ha avuto 100.204 voti, pari al 59,96%. Certo, tenendo conto che gli elettori fiorentini erano 293.173, solo il 34% degli aventi diritto gli ha dato il consenso. Ma questo è il gioco della democrazia. Chi non partecipa al voto sbaglia e basta. L’articolo 48 della Costituzione lo dice chiaramente: il voto è «un dovere civico». E i voti dati ad altri candidati (Giovanni Galli ne ha avuti, ad esempio 67.426, pari al 40,03%) non sono sommabili al numero di chi si è astenuto.
Non voglio dire che l’aumento dell’astensionismo non debba preoccupare e che la classe politica non debba porsi come obiettivo anche quello di ridurre quest’area del non voto. Ma non è imputabile a Matteo Renzi o al suo principale antagonista Giovanni Galli se un terzo dei fiorentini non sono andati alle urne. Né facendo quello che dice il signor Ciolli si avrebbe una qualche garanzia che i fiorentini andrebbero maggiormente alle urne (tra l’altro da noi c’è ancora una partecipazione discreta alle elezioni). Va da sé, inoltre, che simili ragionamenti valgono per quasi tutti i primi cittadini, i presidenti delle Province e delle Regioni, fino allo stesso presidente del Consiglio, che alla Camera, nel 2008, fu votato dal 36,1% degli aventi diritto (17.064.314 voti sui 47 milioni e passa aventi diritto). Al secondo turno delle Provinciali, ad esempio, l’affluenza è stata spesso al di sotto del 50%. A Torino, ad esempio, il nuovo presidente Antonino Saitta al ballottaggio ha ricevuto i voti solo del 22,6% degli aventi diritto. Ma quel che conta è che ha battuto il suo avversario di 109 mila voti circa.