Opinioni & Commenti
Un salto di qualità nella lotta alla corruzione
«La corruzione è intorno a noi e dobbiamo saperlo». Dovrebbe bastare questa affermazione del cardinale Peter K.A. Turkson, prefetto del nuovo dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale, per renderci più accorti nel guardarci attorno, più severi nel relazionarci, più sensibili nella gestione del denaro e dei beni (soprattutto se sono «pubblici»), più attenti nell’individuare lo stigma della corruzione. Anzi la «spuzza» come l’ha definita Papa Francesco nel suo memorabile discorso a Scampia: «La corruzione spuzza! La società corrotta spuzza! Un cristiano che lascia entrare dentro di sé la corruzione non è cristiano, spuzza! Non lasciatevi rubare la speranza».
Giorno dopo giorno la corruzione (nelle forme più diverse) occupa i titoli dei tele e radiogiornali. Per non parlare degli allarmi provenienti dalla Corte dei conti o dall’Autorità nazionale anticorruzione. Il che impone una domanda: che Paese è quello dove è necessaria un’Autorità superiore alla quale affidare il controllo di legalità preventivo sugli appalti pubblici? Di sicuro un Paese malmesso, considerato che proprio dalle macerie morali e materiali della stagione di Mani pulite è nata la Seconda Repubblica, dopo la scomparsa dei principali partiti eredi della Costituente. Ma non è bastata la grande «Questione morale» che ha avvolto il Paese per oltre un decennio, se è vero che i grandi accusatori di ieri, come Piercamillo Davigo, ci fanno sapere che la corruzione e il malaffare sono più forti che mai. Dunque, come Paese qualcosa dobbiamo aver sbagliato in quegli anni, se l’orologio della corruzione è sempre lì a battere le sue ore. Nel frattempo, nuove forze-antisistema si sono fatte protagoniste della vita pubblica, sull’onda della lotta alla «Casta» e della sua predisposizione a fare un uso distorto del denaro pubblico. Il tutto in una lunga stagione di recessione, se non di autentica depressione, che ha messo a dura prova i ceti popolari. Non inganni il risultato del voto amministrativo: i populismi di varia estrazione (a trazione digitale o sovranista) venderanno cara la loro pelle alle prossime elezioni. E i temi della «Casta» e della corruzione torneranno prepotenti, pur senza trovare un effettivo rimedio istituzionale. Perché forse, e qui il dubbio si insinua, non è tanto una questione di leggi più o meno efficaci e severe, quanto di dna culturale, se non addirittura antropologico.
Nonostante tutto si impone, proprio ora, un salto di qualità nella lotta alla corruzione, perché finalmente la ripresa economica fa sentire il suo effetto nel Nord del Paese e inizia a dare qualche segnale nel Sud desertificato dalla grande recessione. E soprattutto perché i dividendi, sia della ripresa economica sia della lotta alla corruzione, possano raggiungere i ceti popolari stremati. Ma la responsabilità è in capo a tutti noi, cittadini. Certo, vanno alzati i livelli di guardia rispetto ad ogni forma che essa assume.
Che si tratti di tangente o di estorsione, di appropriazione indebita, di frode o di favoritismo. Ma è necessaria una nuova consapevolezza che parta dalla realtà: nel nostro tempo la corruzione si è fatta ideologia e spesso assume i contorni di una vera e propria anti-cultura che si giova anche del conformismo di quel maledetto, italico, «così fan tutti». Innanzitutto non è vero che «così fan tutti»: basterebbe che noi riscoprissimo le mille forme della gratuità e i mille sentieri della solidarietà che percorrono il nostro Paese e lo rendono ancora umano e vivibile.
Da credenti dobbiamo, come suggerisce la lettura di «Corrosione», il libro intervista del cardinale Turkson, imparare a distinguere fra peccatore e corrotto. Se il primo ha la consapevolezza del peccato e perciò ha una speranza di cambiamento di vita, il secondo si crogiola nel suo mondo in cui vige l’idolatria del denaro. E per il denaro, nel nostro tempo, si fa tutto. Ce lo ricorda ogni giorno il Papa nel suo costante magistero che indica nella corruzione interiore dell’uomo la causa principale delle povertà, delle guerre, delle migrazioni, delle ingiustizie, delle sopraffazioni, della distruzione dell’ambiente e della qualità della vita.
Se da un lato tocca a ciascuno di noi vigilare su se stesso a ogni minima «spuzza» di corruzione interiore, dall’altro si rende sempre più necessaria una ripresa dell’agire politico. Di un «noi» socializzante che non lasci ai populismi la bandiera della lotta alla corruzione, ma sappia collocarsi sulla frontiera virtuosa dell’educazione, della formazione e della comunicazione. E forse in questo contesto sarebbe anche più comprensibile la «scomunica» per i corrotti (oltre quella già in atto contro i mafiosi) che è allo studio nelle stanze vaticane. Anche se nessuno dovrebbe dubitare della irreversibile inimicizia dei cattolici nei confronti dei mafiosi e dei corrotti.