Cultura & Società

Un regalo «equo e solidale» per aiutare il Terzo Mondo

A Natale un’occasione in più per cambiare stili di vitaUn regalo «equo e solidale»per aiutare il Terzo MondoDI ELISABETTA CASELLIRieccoci all’appuntamento di ogni anno. I regali di Natale. Un piacevole tormentone che da qui al 24 dicembre ci tiene tutti un po’ in fibrillazione facendoci però dimenticare il vero senso di questa festa. La grotta in cui viene alla luce Gesù è come sommersa dallo sfavillio delle luci e dagli addobbi delle vetrine, eppure gli ultimi tragici avvenimenti dovrebbero farci riflettere. Niente doni? Ognuno può decidere come vuole, ma in fondo i regali sono nati per esprimere reciprocamente la gioia per quel giorno che ha cambiato il mondo. Oggi è a noi occidentali che viene richiesto di cambiare il mondo e lo possiamo fare anche con la scelta del regalo giusto. Sia esso un cesto pieno di prodotti alimentari o un capo di abbigliamento o degli oggetti artigianali, importante è che abbiamo deciso di acquistarlo nelle «Botteghe del Terzo mondo», il cui scopo è di liberare i poveri del Sud che producono per il Nord, dal giogo dello sfruttamento dei commercianti locali e internazionali attraverso il Commercio equo e solidale. «Questo è un approccio alternativo al commercio convenzionale – spiega Franco Gesualdi, responsabile del Centro nuovo modello di sviluppo – con il quale si tende non a fare profitto ma a promuovere migliori condizioni di vita nei Paesi economicamente meno sviluppati, a colmare gli squilibri e a tentare di rompere quei meccanismi commerciali che provocano danni e torti a tanta parte dell’umanità. Se ci fosse un mondo più giusto credo che daremmo meno ossigeno ai vari terrorismi. Oggi sempre più persone cominciano a conoscere questa espressione ed è una proposta che sta facendo breccia anche nei grandi punti commerciali come la Coop o l’Esselunga dove si possono trovare prodotti tropicali sicuramente ottenuti in condizioni sociali e ambientali accettabili». Finalmente possiamo usare quel piccolo potere che la nostra civiltà ci lascia e che agli effetti pratici conta più di qualsiasi manifestazione, e di usarlo dalla parte del Sud del mondo. Il piccolo potere è il potere del «consumatore».Spesso i nostri gusti e le nostre preferenze possono essere indotte e pilotate dalla persuasione pubblicitaria e in ogni caso obbediscono a leggi dominate dal denaro e dalla convenienza. È ora di conoscere la verità: in Pakistan, in India, in Nepal sono centinaia di migliaia i bambini che lavorano nell’industria dei tappeti, a volte fin dall’età di 5 anni. Ugualmente si dica per i lavoratori del tessile in Bangladesh, per i coltivatori di caffè in Guatemala, per i raccoglitori di tè nello Sri Lanka e per gli operai delle piantagioni di banane in Honduras. Il loro salario è ridicolo, le loro condizioni spesso avvilenti. Dietro a questi prodotti si celano degrado ambientale, deficit alimentare, speculazione, che condannano milioni di famiglie alla miseria. I piccoli produttori del Sud del mondo sono totalmente dipendenti dagli intermediari commerciali e dai creditori internazionali. La soluzione proposta dal commercio equo e solidale è di distribuire prodotti comprati direttamente dai contadini e dagli artigiani spesso riuniti in cooperative e di creare una relazione paritaria tra produttori, lavoratori, Botteghe del Mondo, importatori e consumatori. Questo commercio è anche solidale, cioè una piccola percentuale dei guadagni è devoluta ad un progetto: corsi di istruzione per accedere al lavoro, scuole, strade e questo fa sì che il beneficio vada anche a chi non lavora nelle cooperative. Il Commercio equo e solidale è un’organizzazione attiva in Italia da circa dieci anni, ma presente in Europa dagli anni Sessanta.L’idea nacque in Olanda da parte di alcuni gruppi decisi a lottare il neocolonialismo con iniziative di segno opposto. Come primo passo si cercò di aiutare contadini e artigiani ad organizzarsi in cooperative capaci di raccogliere i loro prodotti e avviarli all’esportazione; contemporaneamente nacque l’«Sos», una cooperativa commerciale autorizzata ad operazioni di import-export e infine furono aperti dei punti vendita al dettaglio. In Italia dopo varie esperienze isolate, è nata nel 1988 la prima centrale diretta: la Ctm (Cooperativa terzo mondo). «Il Centro nuovo modello di sviluppo – dice Gesualdi – vuole sensibilizzare l’opinione pubblica sulle cause che creano questi squilibri tra Nord e Sud, il commercio alternativo è uno dei mezzi per interrompere questa catena, ma credo che sarebbe importante anche consumare meno se vogliamo fare giustizia su questa terra».