Pisa

Un progetto per la cresima

Le comunità della diocesi sono chiamate ad «adottare» un progetto per la preparazione dei giovani al sacramento della cresima. Parlare di progetto potrebbe sembrare oggi fuori moda. I giovani tendono a «vivere alla giornata», gli adulti si perdono in una confusione di valori a rincorrere una falsa felicità.Ma per il cristiano la parola progetto riconduce immediatamente a quello della realizzazione del Regno di Dio al quale ciascuno è chiamato a partecipare.Nel Vangelo di Matteo ( 6,25-34) Gesù indica chiaramente i requisiti di questa partecipazione: «non siate ansiosi», non lasciatevi prendere dalle preoccupazioni dei beni materiali avendo fiducia nella presenza provvida di Dio, ma «cercate prima di tutto il regno di Dio e di fare la sua volontà». Partendo dunque da una serena fiducia in Dio, la risposta- chiave successiva sta nel « cercate».Il dinamismo della ricerca si accende a partire dal riconoscere l’inadeguatezza e l’insufficienza del proprio presente. Quindi è la coscienza della propria povertà e quella del mondo che spinge alla ricerca della vera ricchezza del regno.Cercare è verbo che indica un movimento «verso», ossia senza l’oggetto della ricerca diventa un muoversi privo di senso. Se cerco, cerco qualcosa di preciso e al tempo stesso non mi muovo a casaccio, rifletto, scelgo dove andare a cercare perché « voglio trovare». Stabilisco quindi una sorta di itinerario che mi garantisce la possibilità di raggiungere ciò che mi preme, in altri termini costruisco un progetto.Ma non basta cercare, l’ultima risposta – chiave sta in quel «fate», cioè cercate facendo. Un fare mirato e legato allo scopo del raggiungimento dell’obiettivo finale.Al rischio di abbandonarsi al caso, si contrappone un progetto di vita nato dall’analisi di ciò che richiede un cambiamento e fissa degli obiettivi precisi e i passi necessari per coglierli.Ma dove cercare, cosa fare ?Con Cristo il regno di Dio ha fatto irruzione nella storia umana, è già nel mondo ( Mt.12,28), dunque il dove è qui adesso nella propria storia . E «fate agli altri ciò che volete che gli altri facciano a voi» ( Lc.6,31 ) è risposta che non lascia incertezze sulle caratteristiche del fare.Un progetto dell’essere per fare e del fare per essere.Si può allora concludere che siamo chiamati a costruire e a realizzare un progetto della propria vita che sia una continua conversione, nel riconoscimento del nostro peccato, per rendersi capaci, alla luce della parola di Dio, di concretizzare nell’amore verso il prossimo, la realizzazione del regno. Relazionando il tema del progetto con il compito del catechista educatore alla fede, ne possiamo conseguire alcuni interrogativi:– l’essere e il fare del progetto in che misura mi coinvolgono ?– l’educazione alla fede richiede di essere strutturata con un progetto per educare a progettarsi ?Il rapporto educativo nasce attraverso una relazione che si instaura tra l’educatore e l’educando. L’educatore, nel nostro caso, ha una precisa qualità che caratterizza il tipo di rapporto: è un testimone, cioè persona che può dar fede di un fatto per averne conoscenza.Come tale deve riscuotere fiducia dimostrando che ciò che annuncia è entrato nel suo vissuto tanto da volerne fare proposta.Vengono pertanto ad emergere quelle sfere dell’essere e del fare che, in termini più adeguati diventano «essere per» e «fare con», proprio per sottolineare che non si tratta di insegnare un complesso di nozioni di cui abbiamo competenza, ma di trasmettere se stessi, la qualità dell’essere per servire – amare e l’impegno di volere fare con i ragazzi un cammino di esperienze che aiutino ad ascoltare e rispondere alla richiesta della costruzione del Regno, ora nel proprio vissuto.Le indicazioni seguenti possono costituire un punto di partenza per una riflessione che si potrà sicuramente ampliare.La seconda domanda sull’educare con un progetto sarà invece tema di un prossimo articolo. SFERA DELL’ESSERE PER * Essere consapevoli che se anche conoscessimo persino le virgole della Bibbia, se Dio non è nel nostro vissuto non riusciremmo a trasmettere la sua Parola.* È una relazione d’amore: dobbiamo essere capaci di accogliere l’altro, anche se più piccolo, così come è non come ci farebbe comodo fosse. Se non l’amiamo, tutt’al più possiamo dargli una serie di informazioni.* Il nostro compito non richiede tanto di «dire» quanto di ascoltare ed insegnare la Parola e interpretrarla nel vissuto personale.* Dio ha fiducia nell’uomo tanto da chiedergli una collaborazione alla costruzione del regno, anche noi siamo «mezzi» per far sentire questa fiducia che non dobbiamo mai mancare…anche al più scapestrato.* Dio è paziente, impariamo ad esserlo anche noi senza pretendere che tutti seguano uno stesso ritmo di crescita.* Per poter educare bisogna essere prima di tutto sensibili e capaci di leggere la realtà che ci circonda per adeguare il nostro intervento; altrimenti saremo ripetitori di esperienze preconfezionate.* Saper osservare il ragazzo ci aiuta a capire le sue difficoltà anche inespresse.* Se non siamo in grado di rispondere a qualche interrogativo, il bambino apprezzerà più un non so, ma mi informerò che una non risposta, l’umiltà non sminuisce mai il rapporto di fiducia. SFERA DEL FARE CON * educare a sviluppare il senso critico di sè e di ciò che lo circonda, sarà mezzo di discernimento tra ciò che lo può rendere schiavo di limiti e condizionamenti e ciò che lo può positivamente aiutare.* Fargli vivere esperienze caratterizzate dalla gioia: l’incontro con Cristo è liberante.* Curare le dinamiche di gruppo: lo stare con gli altri deve offrire la possibilità di confronto sereno, rispettoso e di condivisione , non essere ripetitivo di altri modi di stare insieme nella scuola o nel gruppo di amici.* Utilizzare il gioco come momento di espressione di sé e di accettazione delle regole.* Proporre esperienze che non siano banali: Sulle difficoltà ci si misura, superandole si acquista fiducia in se stessi.* Far fare esperienze pratiche in cui il ragazzo è partecipe delle prime fasi di decisone fino alla realizzazione. * La verifica delle esperienze è un momento di crescita importante. deve essere vissuta senza negativismi ma sottolineando cosa si poteva fare di meglio.· Dopo una verifica è bene proporre un momento di festa: al riconoscimento del proprio peccato è unita la certezza del perdono e la possibilità di migliorarci.