Festa grande per la Diocesi di Prato che si appresta ad accogliere un nuovo sacerdote. Questa domenica, 29 giugno, il diacono Carlo Geraci sarà ordinato per le mani di mons. Franco Agostinelli. Il Sacramento dell’Ordine sarà impartito nel corso di una celebrazione in programma alle 16,30. La data dell’evento non è un caso, si tratta della festa dei Santi Pietro e Paolo e storicamente la Chiesa pratese ha sempre celebrato le proprie ordinazioni in questa occasione, anche se negli ultimi anni questo uso era venuto meno.Nato a Prato e cresciuto a Narnali, Carlo Geraci ha 46 anni ed è entrato nel Seminario di Prato nel 2012. Il suo cammino verso il sacerdozio è durato solo due anni perché il seminarista proveniene da una esperienza, durata 14 anni, tra i monaci Cistercensi della comunità di Fiastra nelle Marche. Lì, aveva ricevuto il ministero dell’accolitato.In questi due anni Carlo ha prestato servizio alla parrocchia di San Leonardo in Gamberame. Il futuro sacerdote celebrerà la sua prima messa domenica 6 luglio alle 10 nella chiesa di Santa Maria Assunta a Narnali.
I GIUBILEI
DON ALBERTO MAGGINI«In Seminario? Io dico che ’un tu ci rimarrai neanche una settimana». Invece il Nonno sbagliò di grosso, perché don Alberto Maggini divenne prete e questa domenica, 29 giugno, festeggerà 50 anni di sacerdozio. Tutti lo conoscono come il parroco di Capezzana, dove arrivò nel 1969, ma anche come il prete-allenatore di generazioni di ragazzi. È nei valori più autentici dello sport che don Maggini ha preso spunto per la propria attività pastorale con i più piccoli, «amicizia, lealtà, rispetto delle regole e del proprio corpo sono insegnamenti per la vita cristiana», sottolinea il sacerdote.Don Alberto è originario di Cafaggio, il suo parroco era don Giuseppe Bartolozzi, «uno dei miei migliori amici, don Silvano Vannucchi – racconta il sacerdote – entrò in Seminario e io volli emularlo, la mia scelta maturò così». Era il 1952 e il tredicenne Alberto Maggini diventa seminarista a Prato. Erano gli anni della separazione della nostra diocesi da quella di Pistoia e così gli studi del futuro sacerdote proseguirono dagli Scolopi a Firenze. «La Chiesa fiorentina stava vivendo un periodo di grande fermento: – ricorda don Alberto – c’erano personaggi come La Pira, mons. Bensi e don Milani. Io non sono mai stato un gran chiacchierone, mi definisco un segugio, stavo zitto e leggevo molto, comprai anche “Esperienze pastorali”». Come formazione ama definirsi un «prete del Concilio, perché quello è stato un evento fondamentale, nel quale la Chiesa ha deciso che non ci si deve più voltare indietro, ma si deve aprire al mondo. Anche se devo dire purtroppo che quello spirito è continuamente messo in discussione».Una delle figure più importanti per il cammino sacerdotale di Alberto è stato mons. Scatizzi, «che ho avuto come prefetto, vice rettore e rettore, del quale sono stato a mia volta, anche se solo per un anno, vice in Seminario», dice il sacerdote. L’ordinazione arriva nel 1964, nel duomo di Prato, per le mani di mons. Fiordelli. Insieme a lui diventa prete anche don Mauro Rabatti. I primi quattro anni di ministero sono vissuti a Tavola, dove don Maggini è vice di don Uberto Fedi. «Lì c’era il campo da calcio, di proprietà della parrocchia, ormai in disuso – racconta ancora – ma i ragazzi, anche trenta o quaranta per volta, si ritrovavano lo stesso per giocare. Pensai di andare da loro, di giocare insieme a pallone e così nacque una squadra». Grazie a quel primo nucleo, a metà strada tra l’oratorio e un team di calcio, don Maggini riuscì a far ripartire la società sportiva Tavola, gloriosa squadra che il prossimo 6 luglio compirà 90 anni dalla sua fondazione. «Quelli erano anni di divisioni politiche, ma io non me ne curavo, in squadra avevo ragazzi di parrocchia e figli di frequentatori della Casa del popolo, tutti a giocare insieme». Come allenatore don Maggini è sempre stato piuttosto spregiudicato, «giocavo con tre punte però… dovevano tornare! Altrimenti la settimana dopo avrebbero fatto panchina». Oltre alla squadra del Tavola, nella quale è stato impegnato fino al 1994, don Alberto è stato per 30 anni allenatore dell’Itc Dagomari, scuola dove insegnava religione. «Che sfide col Buzzi!», ricorda ancora sorridendo. Il legame tra insegnamenti cristiani e sport è stato portato avanti anche come Consulente ecclesiastico del Csi, grazie al sodalizio trentennale col presidente Luciano Pecchioli.E Capezzana? «Arrivai qui senza immaginare che ci sarei rimasto più di quarant’anni», ammette don Maggini, «qui mi trovo benissimo, questa è una comunità compatta, come una famiglia». Tanti gli interventi fatti in questi anni, soprattutto alla chiesa, dove è stato rifatto il tetto, l’impianto di riscaldamento e sono state ripulite tutte le pitture. Il percorso di vita di don Alberto ha avuto anche momenti difficili, nel 2001 scopre di avere il diabete, in poco tempo è affetto da una neuropatia agli arti inferiori e così nel 2009 è costretto all’amputazione di una gamba. «Ho un carattere forte e so guardare avanti, continuo a fare il parroco più o meno come prima, recentemente sono anche andato in pellegrinaggio in Terra Santa con la parrocchia», conclude don Maggini.La parrocchia di Capezzana festeggia don Alberto questo sabato con la messa giubilare alle 19 presieduta dal Vescovo Agostinelli, alle 21,15, concerto di musica. Domenica 29 giugno, alle 11 messa animata dal coro parrocchiale e alle 20,30 cena per il 50° anniversario.DON MAURO RABATTIEra un giorno dell’anno domini 1965 quando l’allora vescovo di Prato, Pietro Fiordelli, comunicò a don Mauro Rabatti che presto sarebbe diventato parroco di Santa Lucia. «Non sapevo bene neanche dove si trovasse di preciso questa frazione; – ricorda il sacerdote originario del paese di Cancelli, nel Valdarno – quando seppi che sarei diventato il nuovo parroco ero curioso di vedere il posto, così presi la bicicletta e imboccai la via Bologna… era troppo faticoso, così ad un certo punto tornai indietro». Da quel giorno sono passati quarantanove anni e nemmeno lui avrebbe immaginato di essere ancora alla guida della comunità. Difficile, quindi, pensare a Santa Lucia senza andare con il pensiero a don Mauro che è diventato colonna e memoria di una zona di Prato che nell’ultimo mezzo secolo ha cambiato profondamente la propria conformazione.La vocazione al sacerdozio è presente in lui fin dalla prima giovinezza. « Ho sempre desiderato diventare prete – spiega don Rabatti – anche se non immaginavo fino in fondo che cosa volesse dire». La prima tappa della sua formazione spirituale è stato il seminario diocesano di Fiesole, che il parroco di Santa Lucia ha frequentato fino alla quinta ginnasio poi, per problemi sia economici che caratteriali, si è dovuto allontanare. « Fu un momento di travaglio, – commenta don Mauro – ma non mi persi d’animo e cercai un altro istituto ». Ad accoglierlo fu quello della giovane diocesi di Prato, l’allora rettore del seminario, il canonico Fabbri, lo prese «in prova» e qui rimase fino alla sua ordinazione avvenuta nella solennità dei santi Pietro e Paolo del 1964. Nel breve periodo trascorso prima della nomina a parroco, don Mauro ha ricoperto vari incarichi, prima come sostituto alla basilica di Santa Maria delle Carceri, poi a Castelnuovo ed infine come cappellano a San Giusto in Piazzanese. «Arrivato a Santa Lucia, mons. Fiordelli mi chiamò e mi disse “Don Mauro, c’è da fare la nuova chiesa”» racconta il sacerdote aprendo una delle pagine più importanti di questo territorio. All’epoca, il vecchio nucleo non contava più di seicento abitanti, ma era una zona di forte urbanizzazione e crescita demografica e l’antica parrocchiale di santa Lucia a Monte non era più adatta per rispondere alle nuove esigenze. Dopo nove anni di lavoro, dei quali don Mauro ricorda ogni particolare dai costi delle opere agli innumerevoli sforzi, la nuova chiesa fu inaugurata nel 1974. Importante è stato anche il rapporto con la comunità nomade stanziata a nord della città. «Ero arrivato qui da pochi mesi, – ricorda il sacerdote – quando una notte entrarono i ladri in casa, scoprii presto che era opera degli zingari che al tempo avevano un accampamento nella zona dove ora si trovano le scuole Meucci, su viale Galilei, da quel momento iniziai a chiedermi chi fossero. L’occasione per approfondire questa conoscenza fu portare la Comunione ad una zingara della zona». Da quel momento don Mauro si impegnò per l’inserimento della comunità all’interno delle regole e della società e riuscì a farsi conoscere e rispettare dagli zingari tanto che « una notte sentii suonare il telefono, erano le due. All’altro capo rispose il vicequestore che non riusciva a placare una rissa piuttosto violenta in cui ci furono anche degli spari. Arrivato sul posto, consigliai alle forze dell’ordine di arretrare un po’ e quando gli zingari mi riconobbero mi fecero avvicinare e con un po’ di buon senso riuscii a farli ragionare ed a riportare la pace».Un passo fondamentale per la città di cui don Rabatti è stato in qualche modo regista è il gemellaggio tra Prato ed Ebensee, siglato nel 1987. «La nostra parrocchia si è impegnata da subito in un esercizio di sensibilità e di fede che si è svolto accanto al ruolo delle istituzioni, – racconta il sacerdote – Prato è stata importante per l’Austria per rileggere la sua storia passata». Di storie come queste don Mauro ne avrebbe molte altre da raccontare, tutte che testimoniano l’evoluzione e i cambiamenti avvenuti, oltre che nel territorio anche in lui. La chiave di lettura di questi cinquanta anni di sacerdozio si trova nella ricerca dell’incontro e della collaborazione con chi ci sta accanto. «Rimanere così tanto tempo qui è stata una grazia non richiesta, – conclude il parroco – indubbiamente un bene ma forse anche un male. Ho cercato di non fossilizzarmi e in questo le persone mi aiutano, continuando a spingermi verso nuove mete».Sui festeggiamenti vige il gran segreto dei parrocchiani; tutti sanno, ma nessuno parla per non rovinare la sopresa, certo è che inizieranno con la messa prefestiva alle 18, di sabato 28 giugno.