Opinioni & Commenti
Un «no» sereno ma deciso al «Toscana gay pride»
Il fenomeno dell’omosessualità ha assunto una grande importanza anche nel quadro della riflessione teologico-morale. Il teologo Giannino Piana dichiara che «l’affermarsi dei diritti civili delle minoranze e dei diversi, da un lato, e lo sviluppo della ricerca scientifica sia in campo biologico che pisco-sociale, dall’altro, hanno contribuito a determinare l’esigenza di un approccio più criticamente corretto nei confronti dei processi, le cui dinamiche risultano complesse e di non facile interpretazione». Tanto più che, nella nostra società, tre fattori culturali incidono profondamente sul processo di identificazione soggettiva e quindi contribuiscono in modo notevole alla crescita del fenomeno: la crisi della figura paterna, per cui si arriva a definire la società attuale come «una società senza padri», l’assolutizzazione del modello maschile e la tendenza all’annullamento delle differenze sessuali.
L’omosessualità è un fenomeno complesso, che domanda una seria verifica della situazione soggettiva, perché se ne possa cogliere il significato esistenziale. Infatti si va dal caso della perversione, che va radicalmente condannato, al caso della nevrosi che domanda un trattamento psico-terapeutico, a quello della pulsione omosessuale como modo di essere-al-mondo. Nel primo caso l’omosessualità si manifesta come piacere della trasgressione, ricerca del male per il male, continua volontà di autogiustificazione e bisogno di distruggere i valori che non si è in grado di vivere. È chiaro che questo tipo di omosessualità va decisamente condannato, mentre una grande attenzione e cautela sono necessarie nella valutazione del comportamento omosessuale indotto da situzioni nevrotiche, che inducono una certa debolezza dell’io personale. Del tutto diverso è il caso in cui l’omosessualità si presenta, prevalentemente o addirittura esclusivamente, come modo di essere-al-mondo, cioè secondo l’espressione di Piana come «investimento globale della sessualità nel rapporto intersoggettivo». Nella realtà questi livelli spesso si intrecciano e si confondono, rendendo più difficile e quindi tanto più impegnativa la conoscenza e la riflessione.
La morale cattolica è stata sempre rigidamente negativa nei confronti dell’omosessualità. Tale posizione è stata ribadita dalla Congregazione per la dottrina della fede nella dichiarazione del 29 dicembre 1975: «Secondo l’ordine morale oggettivo le relazioni omosessuali sono atti privi della loro regola essenziale e indispensabile. Esse sono condannate dalla Sacra Scrittura come gravi depravazioni e presentate, anzi, come la funesta conseguenza di un rifiuto di Dio. Questo giudizio della Scrittura non permette di concludere che tutti coloro, i quali soffrono di tale anomali, ne siano personalmente responsabili, ma esso attesta che gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati e che, in nessun caso, possono ricevere una qualche approvazione».
È qui chiaramente riaffermata la classica «distinzione tra il peccato e il peccatore», cioè tra l’atto omosessuale in sé e la responsabilità soggettiva.
Il che significa per i cattolici la riaffermazione del giudizio morale sulla omosessualità. Conseguentemente, anche la loro contrarietà a manifestazioni che siano ostentazione compiacente della omosessualità, anche perché la seduzione di una esperienza nuova, insolita, con il fascino del proibito, può mietere vittime anche presso ragazzi e ragazze che in realtà abbiano una tendenza eterosessuale. Mentre è certo che un mondo che abolisse la differenziazione dei sessi finirebbe per favorire la crescita di fenomeni devianti. Insieme, si intende, occorre far chiaramente vedere nelle parole e nei gesti il rifiuto di ogni condanna e di ogni discriminazione delle persone in base all’orientamento sessuale.
Ma non solo. Quando l’omosessualità è riconducibile a situazioni nevrotiche, non bisogna esitare a consigliare un aiuto psicoterapeutico, mentre è necessario far crescere attorno alla persona omosessuale il rispetto, la comprensione, l’amicizia. E tenere saldamente la pazienza nell’applicazione della legge della crescita e della gradualità.
Dinanzi a persone che vivono esperienze di omosessualità è fondamentale tener conto che nessuno è responsabile di tendenze che trova in sé; che non si deve giudicare con eccessiva severità situazioni che non si conoscono, accentuando indebitamente il senso di colpa. Ma sarebbe ugualmente grave concorrere a creare una coscienza di pieno adeguamento alla situazione e di assoluzione a priori di qualunque comportamento. Mentre un accostamento maturo e seriamente ponderato a tali stati di vita consente di fornire un appoggio concreto, perché uno accetti la propria condizione ed esprima, all’interno di essa, possibilità di crescita.
Ma noi cattolici dobbiamo ripeterlo con forza: se il sostegno della Regione Toscana intende in modo espresso o surrettizio «le pari opportunità» come equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio così come è configurato dalla nostra tradizione cristiana e riconosciuto dalla nostra Costituzione, siamo contrari decisamente. La nostra opposizione è decisa, ma serena, perché siamo consapevoli che non si tratta, come qualcuno ogni tanto dice e scrive, di una «crociata» della Chiesa. Si tratta di un servizio che, secondo le regole del regime democratico, chi è credente e fedele al Vangelo rende, deve rendere alla società. Lungi da noi la pretesa d’imporre agli altri le nostre idee; ma perché tenere nascosta una convinzione che nasce anche dalla cultura che abbiamo ricevuto e che riteniamo capace di rispondere ai molti problemi che affaticano la nostra società ed è ricca di speranza per il futuro della nostra Europa e del mondo? Non adoperiamo né la forza, né il sotterfugio, né l’inganno. Abbiamo una convinzione profonda, illuminata dalla nostra fede cristiana, ma anche appoggiata alla nostra tradizione culturale, e diamo limpidamente il nostro contributo, senza interessi personali o di gruppo.
Se, dunque, riconoscimento della condizione omosessuale viene inteso come rispetto della persona, della sua inalienabile dignità e della sua libertà e come lotta ad ogni discriminazione in base all’orientamento sessuale, i cristiani non solo non esitano a dichiararsi d’accordo, ma sono in prima linea nella ricerca di tutte le vie possibili perché questo si realizzi.
Ma se riconoscimento, ad esempio delle coppie omosessuali, significa equiparazione alla famiglia così come è recepita dalla nostra Costituzione, esprimiamo un dissenso netto e pieno, perché convinti che non si debba estenuare né di diritto né di fatto la realtà e la definizione della famiglia e perché l’impegno da prendere sempre, ma soprattutto oggi è riconoscere la famiglia come soggetto primario della politica e in conseguenza assicurare un sostegno sociale ed economico adeguato alla sua importanza e ai suoi compiti.
Così, la morale e la pastorale cattolica resisteranno sempre a tutte le correnti che in vari modi cercano di «glorificare» il comportamento omosessuale e nello stesso tempo sempre si impegneranno perché i diritti di ogni persona umana, anche omosessuale, siano pienamente rispettati e promossi.