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Un ministro che sta a un giustiziere in maschera come un personaggio del cinema a un giocattolo
Non è il Capitano a narrare l’episodio, bensì l’inviata di guerra Chiara Giannini nel libro intervista a Salvini uscito per un editore che sarebbe fascista per sua orgogliosa ammissione, se il fascismo esistesse (pare sia un’invenzione degli antifascisti). La Giannini sente il bisogno di collocare il tragico episodio in prima pagina, proprio all’inizio.
Certamente si ispira a Orson Welles e ai primi minuti del suo capolavoro Quarto potere. Il film comincia dalla morte di Charles F. Kane ed è una lunga, infruttuosa indagine per scoprire il senso dell’ultima parola sussurrata prima di spirare: «Rosebud». I cinefili sanno chi era. Il piccolo Kane viene sottratto alla madre e deve abbandonare anche una slitta, una semplice slitta sul cui fianco è inciso il nome Rosebud. Tutto qui. Kane diventerà uno degli uomini più potenti degli Usa, proprietario di quotidiani in tempi in cui questi erano vendutissimi e incidevano profondamente sull’opinione pubblica. Eppure il suo ultimo pensiero va a un giocattolo. Probabilmente ogni giorno il suo pensiero finiva lì. E mentre conquistava il suo impero e si regalava una reggia, novello ventre materno, Kane giocava, rincorrendo la gioia perduta e irraggiungibile che gli dava Rosebud. Salvini sta a Zorro come Kane sta a Rosebud?
Sorridete pure se ciò vi è di conforto. Eppure è evidente che il Capitano non fa che giocare, alla rincorsa di qualcosa che ha perduto e mai riconquisterà. E, come Kane, gli sarà impossibile mantenere una sia pur pallida parvenza di legame duraturo con una donna. Prima o poi costei pretenderà che costui si tolga la maschera e zac, riapparirà il bambino che gioca, gioca, gioca. Prima o poi lo pretenderanno pure gli italiani. Ah, Rosebud…