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Un maggiore ecumenismo avrebbe favorito più pace

di ROMANELLO CANTINILa guerra di Crimea che tutti ricordiamo di aver studiato sui banchi di scuola ebbe come scintilla scatenante più o meno pretestuosa un ennesimo alterco nella basilica della natività in Terrasanta dove clero greco e clero latino erano venuti addirittura alle mani per la scomparsa di una cometa d’argento. Da allora le numerose guerre per la cosiddetta questione di Oriente videro scendere in campo la Russia a difesa degli ortodossi e la Francia a difesa dei cattolici nel Medioriente.

Si è citato questo episodio di divisioni religiose che sfociano nel conflitto politico per non rivangare episodi ancora più lontani nel tempo e molto più orribili come il sacco di Costantinopoli durante la quarta crociata o le guerre fra cattolici e protestanti durate quasi due secoli, dallo scisma luterano fino alla pace di Westfalia.

Certo, oggi tutto o quasi tutto è cambiato nel rapporto fra «fratelli separati» e soprattutto dal Concilio in poi si è inserita la retromarcia per tornare dal conflitto anche solo concorrenziale alla ricerca della unità perduta. Fatti come la «dichiarazione di Augusta» di otto anni fa, che ha chiuso fra cattolici e protestanti la questione dogmatica centrale della «giustificazione per fede», o come gli incontri di Assisi, che hanno visto pregare insieme cattolici, protestanti e ortodossi, sono significativi. E tuttavia anche nel mondo di oggi si avverte spesso che un maggiore ecumenismo avrebbe operato molto più profondamente anche a favore della pace. Il conflitto nell’Irlanda del Nord, che è durato per oltre trent’anni con migliaia di vittime, sarebbe stato almeno meno lungo e meno sanguinoso se da una certa parte protestante si fosse evitato di celebrare la feroce conquista dell’Isola come un fatto di civiltà e se da una certa parte cattolica ci si fosse astenuti dal commemorare come martiri della fede i primi terroristi che si suicidavano con lo sciopero della fame.

Nel Kossovo oggi la situazione sembra essersi addirittura rovesciata rispetto a sette anni fa con la sempre più misera e emarginata minoranza serba nel ruolo di vittima. Segno che nemmeno il mondo occidentale ha saputo a tempo debito aggiustare la mira. E tuttavia anche la guerra contro la ex-Jugoslavia poteva essere un’altra cosa se il clero ortodosso si fosse smarcato all’ora giusta dalla confusione con Milosevic e il patriarca Pavle avesse pronunciato prima le famose parole: «Non c’è né Grande Serbia né Piccola Serbia se deve essere a prezzo di un crimine».

Così in Russia una chiesa ortodossa che fosse un po’ più tiepida nel suo «patriottismo attivo» e più attenta al resto del mondo troverebbe qualche motivo in più per criticare Putin sulla Cecenia, così come, negli Stati Uniti, quel movimento evangelico che oggi rappresenta la novità nel panorama religioso americano avrebbe mostrato meno consenso alla guerra in Iraq se avesse preso in considerazione non solo le prese di posizioni del mondo cattolico, ma anche del mondo protestante tradizionale.

La Pira amava ricordare come un fatto profetico il Concilio di Firenze del 1439 fra cattolici e ortodossi. In realtà quel concilio che doveva ricostituire l’unità della chiesa d’Occidente con la chiesa d’Oriente fu più un fallimento che un successo. Ma, per La Pira che amava trovare nel passato i segni, e perfino i nudi simboli del futuro, quel tentativo andava nella direzione per cui le religioni sono chiamate non solo ad unirsi fra loro, ma ad unire con il loro esempio e la loro opera il mondo della pace.

Ecumenismo, quando siamo uniti Cristo è tra noi