Giovani precari, mal pagati, con poche tutele o addirittura “al nero”, a cui vanno aggiunti cassaintegrati e “esodati”: è il quadro dell’Italia che soffre, che arranca, ma che continua a lottare, per ritrovare la propria dignità, il proprio ruolo, il proprio lavoro. Ma ogni giorno è sempre più difficile. E quali prospettive si possono avere in una situazione critica di questo tipo?Lo abbiamo chiesto a Marcello Mastrocola, segretario provinciale della CISL nel settore “Funzione Pubblica”, Comparto Ministeri e Agenzie Fiscali, e un passato nel Ministero della Salute Pubblica. “Oggi crisi economica e lavorativa interessano sia il settore pubblico che privato – spiega – e le motivazioni, spesso, sono simili. La differenza è che, per ragioni “culturali” e anche di un certo tipo di diffusione mass mediatica, si è sempre denigrata la figura del dipendente della Pubblica Amministrazione, senza però considerare che il 50% dell’economia italiana gravita intorno ad essa, nonostante la privatizzazione in atto di molti uffici. Ma l’ “Azienda Italia” funziona anche per merito loro.”Pubblico e privato, se in equilibrio, riescono a creare i legami giusti per formare l’Economia del Paese. Ma oggi vari fattori concorrono ad annullare tali sinergie. “Se guardiamo alla Pubblica Amministrazione, sprechi e spending review sono senz’altro da attribuirsi alla dirigenza, non solo periferica. Non si può certo controllare “dall’alto” ogni singolo ufficio, ma spesso molti dirigenti sono sopravvalutati. Poi ci vorrebbero maggiore trasparenza e la diminuzione della differenza abissale tra stipendi e indennità tra i ruoli.” Problemi che risaltano anche nel settore privato, soprattutto quando si toccano aziende di una certa rilevanza, creando una discrepanza che nuoce alla maggior parte dei lavoratori. E poi la disoccupazione e il precariato. “Purtroppo in Italia abbiamo una serie di normative giuste solo nella teoria, ma che non hanno sviluppo positivo nella pratica. Buona flessibilità del lavoro e crescita economica, se ben gestite e poste sotto i dovuti controlli, avrebbero potuto traghettare il Paese verso una nuova fase economica. Ma i controlli si fanno con ispettori e personale di ruolo – dice sorridendo – e non con pochi dipendenti o con altri precari.” Alla mancanza di controllo statale, vanno aggiunti i problemi dell’Impresa italiana, che non investe nella ricerca e sposta sempre più capitali e sedi operative all’estero, evitando così pressione fiscale, burocrazia e incertezza dell’applicazione del diritto in tempi brevi, fattori che distruggono la nostra tradizione manifatturiera e allontano investitori stranieri. In questa situazione il ruolo del Sindacato può essere ancora determinante. “Oggi i Sindacati dovrebbero essere anzitutto “liberi”, non dovrebbero cioè mescolarsi con i partiti. E invece oggi vediamo molte scelte “di movimento”: ma quando si ha sulle spalle la responsabilità di parlare a nome di lavoratori in difficoltà, di disoccupati, di pensionati e di numerose famiglie monoreddito, non è pensabile fare “lotte politiche”, ma bisogna concentrarsi sulla tutela di queste persone.”Ma l’Italia può ancora rialzarsi. “Lotta agli sprechi, alla corruzione e alla criminalità organizzata, investimenti in ricerca e infrastrutture, e riforma dei processi, per riportare gli investimenti nel nostro Paese, e creare occupazione: un governo “buono” è quello che riesce a creare posti di lavoro.”