Opinioni & Commenti
Un genocidio occupazionale nella stagione della cassa integrazione
di Francesco Gurrieri
Un silenzio assordante accompagna da tempo l’isolamento dei cassintegrati della Vinylis, ormai da oltre sei mesi all’Asinara, isola-super carcere abbandonata e ora «occupata». C’è un motivo specifico per occuparsi di questa umiliante e tenace situazione? Direi di si, perché il suo valore simbolico (oltre che intrinseco in quanto riguarda le tante famiglie di chi manifesta) investe tutti noi e il nostro spazio sociale, quello della più larga e incontenibile comunità nazionale.
Cos’è questa «stagione dei tetti» (su queste stesse pagine prlammo fra i primi dei lavoratori saliti sul «carro-ponte»), dei licenziati della Mflon, di Ispra, dell’Eutelia, della Yamaha, della Mangiarotti Nuclear e d’altro? È la stagione del sistematico ricorso alla cassa integrazione che ha registrato nella prima metà dell’anno l’aumento del 600 per cento, che ha mandato a casa più di un milione e trecentomila lavoratori. Da qui la disperata ricerca di una «visibilità mediatica» ad ogni costo, per captare quell’attenzione della politica che non arriva. Si è aperto un nuovo, disgraziatissimo tempo in cui la logica del secco profitto ha completamente dimenticato gli uomini. Gli uomini operai, impiegati, lavoratori a qualsiasi titolo non sono solo «strumenti per produrre» alla stregua delle macchine operatrici.
Gli uomini e le loro famiglie (le loro vite) debbono esser trattati con la dignità richiamata dalla carta costituzionale, con la sacralità della persona umana, così come ci insegna la dottrina sociale della chiesa. Ora, è di tutta evidenza che la globalizzazione del mercato (e della produzione) produce delocalizzazione ed espianti di attività produttive, ma è altrettanto evidente che ciò non può non interessare il governo del Paese. Nessuno può sottrarsi al dovere di capire le vere ragioni di crisi a cui conseguono le chiusure degli stabilimenti. Il «cimitero occupazionale» (che triste nuova locuzione!) non può giustificarsi ed essere accettato con le «operazioni profittevoli» della proprietà: l’esasperato liberalismo porta all’aberrazione sociale: qualcosa che va combattuto con ogni legittimo strumento di governo.
Il lavoro è espressione essenziale della persona actus personae e non può essere considerato disgiunto dalla sua peculiare dignità. «Nella considerazione dei rapporti tra lavoro e capitale, soprattutto di fronte alle imponenti trasformazioni dei nostri tempi, si deve ritenere che la principale risorsa e il fattore decisivo in mano all’uomo è l’uomo stesso» (Giovanni Paolo II, Laborem exercens). Ecco perché si impone un ruolo «regolatore» e «mitigatore» dello Stato che non può rimanere indifferente a questo genocidio occupazionale. Quell’isola di cassintegrati è anche la nostra.