Opinioni & Commenti
Un Esecutivo a due voci sulla Tav scoraggia i nuovi investimenti
Decidendo di non decidere sulla Tav, cercando quella fase di sospensione che porta a non avviare subito i bandi per i nuovi lotti ma a lasciare aperta la porta alla raccolta delle candidature dei costruttori, l’Esecutivo ha seguito solo le esigenze della politica. Non è una rottura con la «nemica» Francia e con la finanziatrice Ue, perché con loro si dichiara di voler trattare sui costi e come proseguire il progetto. Non è il blocco totale, non è lo stop ai lavori. È l’ennesimo faticoso accordo fra due forze politiche e resta da capire, per una vicenda così lunga, perché la coalizione non abbia affrontato per tempo «la ridiscussione integrale dell’opera» preannunciata nel maggio scorso. La novità è soprattutto politica e farà sentire i suoi effetti sull’economia.
In questa fase – ed è la novità del caso Tav – i due partiti al Governo stanno esplicitando le loro posizioni e «giocano contro» più di quanto abbiano fatto finora. Resta la convenienza reciproca a farsi trovare in piedi all’appuntamento elettorale europeo del 26 maggio. Non è il massimo per chi deve impostare investimenti in Italia e cerca un interlocutore unico e credibile. O per chi deve definire schieramenti di politica estera.
Le posizioni sono diverse, spesso distanti, e non vengono più nascoste. Se il Movimento 5Stelle gioca la carta identitaria dell’appoggio ai comitati della Val di Susa e, in generale, ai No Tav, la Lega si chiama fuori e fa capire al mondo dell’economia che il partito lavora «per sbloccare, non per bloccare». Implicitamente dice anche che su sviluppo e crescita le posizioni sono più lontane da quanto sottoscritto nel Contratto di programma, quella cinquantina di pagine che fissava gli obiettivi di massima. Predisporre leggi, approvarle e farle diventare virtuosamente operative è un altro paio di maniche. Far ripartire i numeri dell’economia è ancora più complesso soprattutto quando il vento è forte e contrario. Il Contratto di programma c’è ancora ma ognuno preferisce citare le pagine più convenienti.
Il contrasto sulla Tav ha eliminato alcune ambiguità e lo stesso premier Giuseppe Conte ha faticato a ritagliarsi un ruolo di mediazione. La sua posizione sul progetto di Alta Velocità è critica (mentre invece gran parte del mondo economico e sindacale è favorevole) e da tale convinzione dialogherà con i partner europei. Per un Governo la tenuta o la crescita occupazionale diventa più difficile senza nuovi via libera alle infrastrutture e il sindacato di categoria Filca-Cisl (favorevole alla Tav) misura in 350mila i posti recuperabili con il via libera a 600 cantieri grandi e piccoli.
Il sindacato, come la Confindustria e le associazioni di categoria, intende accentuare il pressing per ottenere decisioni rapide. La saldatura fra i protagonisti del mondo del lavoro non è una buona notizia per un Governo vincolato alle promesse estreme della campagna elettorale. In economia gli umori e le aspettative di imprese e consumatori rispondono alla credibilità degli interlocutori, contesti inattendibili frenano le iniziative. Tutto diventa più complesso quando la partita si gioca con imprese e partner internazionali.
Accenni di «indecisionismo» si erano visti a Taranto, nella faticosa maturazione di una scelta: non è stata cancellata l’Ilva ed è stata accolta la vendita al gruppo franco-indiano ArcelorMittal, con il mantenimento di gran parte dell’occupazione e con un piano di minor impatto ambientale. Ne è nato un mal di pancia in casa 5Stelle (vittorioso in zona con il 50% dei voti nelle politiche) e un altro si è aggiunto con la prosecuzione dei lavori del Gasdotto Tap (Trans-Adriatic Pipeline) fortemente osteggiato dal Movimento in Puglia.
Sulla Tav il rischio di distacco da parte dell’elettorato storico è ancora maggiore e pur di evitarlo il Movimento 5Stelle ha accentuato le distanze dal mondo dell’economia.