Lettere in redazione
Un appello a Napolitano perché non si dimetta
Vorrei rivolgere tramite il settimanale un appello al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano perché abbandoni ogni proposito di resa, di dimissioni, in nome di quelle gravi parole che il Presidente, ha voluto indirizzare al Paese con l’esortazione ad una «larga mobilitazione comune» volta a recuperare e rafforzare valori portati della convivenza civile come il rispetto delle Istituzioni, la valorizzazione del merito e della cultura, la consapevolezza del bene comune». Da orfani tutto sarebbe più difficile. E quell’onda «eversiva» quanto travolgente e per tanti aspetti inarrestabile dell’antipolitica troverebbe ulteriore aria per le proprie vele.
Chi ha giudizio lo utilizzi, per il bene proprio e degli altri! Questo è ciò che raccomanda la nostra tradizione cultural-popolare che rimane, in questa depressione morale, un segnale di direzione sicuro. In fondo molte sono le questioni da portare in porto: c’è una crisi da vincere, c’è un cambiamento costituzionale ed istituzionale da ultimare (possibilmente senza grandi rimpianti o pentimenti), c’è un Paese da rifondare. Sfide che hanno l’indispensabile esigenza della sua saggezza, della sua esperienza e della sua tenacia. Viviamo una stagione in cui la politica è stata distrutta per buona parte dalla partitocrazia dell’ultimo ventennio del secolo scorso, ma anche, da una furia giustizialista che ha sterminato un patrimonio di storia politica (a cui deve essere comunque riconosciuto il merito di aver risollevato l’Italia in rovina del dopoguerra) senza intaccare minimamente le radici culturali e materiali del malaffare che, per contro, ha continuato a radicarsi nel tessuto sociale e politico del Paese. Un aspetto, quest’ultimo, che ha contribuito in modo forse decisivo al «fallimento» della cosiddetta Seconda Repubblica: distruggere senza estirpare ecco il vero limite di una travagliata transizione che dalla partitocrazia ha condotto alla «terra di mezzo».
L’Italia ha bisogno di un nuovo e vero sistema politico, con partiti culturalmente solidi, organizzativamente strutturati seppur leggeri e finanziariamente sostenuti, in modo trasparente, con risorse private e, per una parte, pubbliche. Assetto che forse solo una assai più coraggiosa riforma costituzionale ed istituzionale in senso presidenziale o semi-presidenziale avrebbe sicuramente favorito.
Nel suo discorso di insediamento per il secondo mandato da presidente, lo scorso 22 aprile 2013, Giorgio Napolitano parlò con estrema franchezza di «una lunga serie di omissioni e di guasti, di chiusure e di irresponsabilità» ascrivibili all’intera classe politica, di cui offrì anche una «rapida sintesi». Su «quei temi specifici – aggiunse – ho speso tutti i possibili sforzi di persuasione, vanificati dalla sordità di forze politiche che pure mi hanno ora chiamato ad assumere un ulteriore carico di responsabilità per far uscire le istituzioni da uno stallo fatale. Ma ho il dovere di essere franco: se mi troverò di nuovo dinanzi a sordità come quelle contro cui ho cozzato nel passato, non esiterò a trarne le conseguenze dinanzi al paese». Da allora qualche segnale positivo c’è stato, con l’avvio di una serie di riforme importanti, ma il rischio di ritornare nel «pantano» è altissimo. Credo sia il momento di cambiare marcia e l’elezione di un nuovo presidente della Repubblica potrebbe dare una spinta positiva all’intero processo. Come, al contrario, potrebbe di nuovo bloccarlo. È un rischio grande, ma non credo sia giusto far di nuovo pressioni su un uomo di 90 anni, che ha già dato tanto al suo Paese. Rispettiamo le sue decisioni, sicuri che saranno dettate da saggezza e responsabilità.
Claudio Turrini