Opinioni & Commenti
Umiltà, disinteresse e beatitudine, le Chiese toscane ripartono da Francesco
Stiamo vivendo un «cambiamento d’epoca» e quanti amiamo la Chiesa siamo interessati a trovare modi e linguaggi nuovi per dialogare con la società globalizzata del nostro tempo. Vi è una sofferenza diffusa, tra i cristiani più sensibili, per l’impatto sempre meno efficace che riusciamo ad avere con la gente che ci circonda. Certamente, non deve venir meno alla «missio ad gentes»: l’Italia ha una grande tradizione di servizio al Vangelo con evangelizzatori e missionarie, andati in paesi lontani. Conoscere Gesù, tuttavia, non è più una questione soltanto dei popoli di cultura diversa da quella cristiana. Siamo in una condizione nuova, rispetto a quando Gregorio XV, nel 1622, con forte consapevolezza, disse ai cristiani che il Vangelo non è solo per noi; dobbiamo portarlo a chi non lo conosce. E nacque Propaganda Fide.
Oggi ci accorgiamo che anche le persone a noi più vicine, le generazioni più giovani, fanno fatica a misurarsi con la proposta che viene dagli Apostoli. Forse ancora c’è un po’ di devozione. Occorre chiederci se queste nostre Chiese toscane sono in grado di rispondere alla sete di Dio, presente in molti, e a ravvivare il fuoco della fede, che, sono convinto, è sotto la cenere di quell’indifferenza di cui così spesso il Papa parla. Si fa sempre più urgente il bisogno di trovare uno stile cristiano, un linguaggio dei fatti che aiuti a evangelizzare. Le opere di carità della Chiesa furono, in passato, un segno parlante. L’Ottocento fu caratterizzato, per esempio, dalla capacità di accoglienza di don Giuseppe Cottolengo, dalle scuole di don Giovanni Bosco e di tante altre Congregazioni religiose. Più vicino a noi, le opere della Madonnina del Grappa a Firenze e delle suore di Santa Marta per la riabilitazione dei bambini disabili ad Arezzo. A Pisa, mi piace ricordare le suore del Beato Agostino. Ogni Diocesi toscana fu arricchita da quelle che, con linguaggio Caritas, chiamiamo opere segno.
Tutto questo impegno di carità va mantenuto, ma non basta. Il Papa a Firenze, quattro anni fa, durante il V Convegno Nazionale, ci ha proposto un radicale cambiamento di stile. Per avvicinarci alla gente ci vuole umiltà, condivisione, accompagnamento: vicini alle famiglie, in ascolto dei problemi degli adulti del nostro tempo. Fa più danno l’ostensione del potere e la ricchezza di alcuni uomini di Chiesa, che le fragilità umane da cui noi cristiani non siamo esentati. Paolo nella Lettera ai Romani ci ricorda che siamo salvati non per la fedeltà alla Legge, ma per la fede. Dio ci ha comunque amati, anche quando fummo riottosi e discordi. Dio perdona sempre, la gente raramente. Abbiamo bisogno di costruire – come pietre vive – la Chiesa del nostro tempo, libera dall’attaccamento al denaro e dalla perversa convinzione che col potere si ottiene molto, anche nelle cose di Dio. Lasciamo ad altri la voglia di costruire la Torre di Babele: la tecnologia pervertita in armi, la persuasione che coi soldi si compra tutto, la tentazione del sistema mediatico, che vediamo capace di influenzare le campagne elettorali e il pensiero dei nostri giovani.
Un Nuovo Umanesimo Cristiano deve fondarsi non solo sulla pace ottenuta con la cancellazione dei conflitti nel mondo – che talvolta pare perfino un’utopia – ma con quella riconciliazione con se stessi, con il lavoro, con l’ambiente, con gli altri e con Dio. L’ideale benedettino di valorizzare la persona, non il dominio, è la via della beatitudine interiore con cui i cristiani, anche perseguitati, non perdono la fiducia che Dio è capace di liberarci dal male. Il Convegno di sabato 23 novembre vuole rileggere la forte omelia, che Papa Francesco tenne a Firenze, dove torniamo a riunirci con delegazioni di tutte e diciotto le Chiese sorelle della Toscana. Si tratta, ancora una volta, di prendere per buono il progetto di «Evangelii Gaudium», che comunque stiamo cercando di attuare, passo dopo passo, nelle nostre Comunità cristiane.
*arcivescovo di Arezzo, Cortona e Sansepolcro e delegato Cet cultura e comunicazioni sociali