Opinioni & Commenti
Ue-Usa, se il gestore del saloon ha idee diverse dallo sceriffo
di Pier Antonio Graziani
L’Europa segue con aria distratta i lavori della Convenzione che pur dovrebbe darle entro giugno la bozza di una Costituzione, ed è ancora frastornata dalla crisi internazionale aperta con la guerra in Iraq, nella quale non è riuscita ad avere un ruolo per il semplice fatto che non ha avuto una politica bensì un ventaglio: a) chi partecipava alla guerra (la Gran Bretagna); b) chi non vi partecipava direttamente ma l’aveva ugualmente proclamata (la Spagna); c) chi l’approvava ma non la proclamava né vi partecipava (l’Italia); d) chi, come i Paesi dell’est in attesa di ingresso nell’Unione prossimo venturo, approvava od anche (la Polonia) simbolicamente vi partecipava; e) chi infine (Francia, Belgio, Lussemburgo e Germania) erano decisamente contrarie.
La crisi provocata dalla guerra in Iraq rende così più improbo il compito dei «padri costituenti» (si fa per dire) che, già divisi per antica tradizione fra sovranisti, o euroscettici, e comunitari, sembra fino a questo momento non siano riusciti a trovare un accordo per superare l’impasse. L’eco delle contrapposizioni fra i sostenitori dei poteri della Commissione e quelli del Consiglio non fa sperare molto. E sarebbe grave perché, non solo in vista dell’allargamento a venticinque, che richiede quanto meno si abbatta il principio dell’unanimità per non finire nella paralisi istituzionale, ma anche perché ed è questo che la crisi internazionale mostra senza veli si è prodotta una crisi all’interno dell’Occidente che chiede all’Europa decisioni del tipo di quelle che avrebbe dovuto prendere cinquant’anni fa, quando all’ordine del giorno ci fu la Comunità di Difesa (CED) e la Costituzione federale. Il progetto cadde in Francia non solo per l’opposizione congiunta delle destre e delle sinistre ma anche di un certo radicalismo laicista che temeva una Europa sbucata da sotto le tonache della cattolicità.
Oggi la situazione è diversa, ma non migliore: i partiti democristiani sono ridotti come tali a ben poco ma non esistono neppure culture politiche a dimensione sovranazionale che non siano le vuote sigle di partiti europei che in comune non hanno strategie unitarie ma soltanto la denominazione. Diverso è soprattutto il fatto che, allora, gli Stati Uniti premevano per l’unità europea (non la Gran Bretagna che l’Europa l’ha sempre guardata dall’alto e continua a farlo mentre oggi, gli Usa, sulla base della dottrina unilateralista, si preoccupano di ottenere consensi dai singoli). L’incoraggiamento alla Polonia, gratificata come potenza vincitrice in Iraq e per questo custode in condominio ristretto del dopo Saddam, al di là delle intenzioni, conferma questo nuovo atteggiamento americano.
L’Europa del mercato giunge così al capolinea del percorso intrapreso all’indomani della caduta della CED. D’ora in poi dovrà procedere tenendo nel conto unità e sicurezza. Il mercato, di questi due sostantivi, non è neppure sinonimo. Non solo l’Europa ma anche l’Onu e persino il Patto atlantico hanno bisogno di equilibri reali per essere a loro volta reali.