Cultura & Società
Ucsi, giornalisti a «scuola» da don Milani
«Non potrebbe – l’I Care di Barbiana – diventare il motto più corretto per ogni attività anche di giornalismo e di comunicazione, di quella comunicazione cioè che è attenta al vero e al suo contesto, che non semplifica, non banalizza, non riduce l’essere umano alle sue esigenze solo materiali, non lo colpevolizza, non lo giudica?». Si sono ritrovati su questa domanda alcuni giornalisti di Ucsi Toscana. E si sono ritrovati nella scuola di Barbiana, accompagnati da Michele Gesualdi, in un collegamento («L’umanesimo secondo Lorenzo Milani») verso il convegno che la Chiesa sta per tenere nella Firenze da cui il giovane sacerdote venne spedito in una periferia poi diventata, almeno sulle frontiere fra educazione e scuola, centro del mondo.
La domanda («Farebbero bene, i nostri vescovi, a mettere don Milani al centro del convegno») l’ha posta don Alessandro Andreini, che di Ucsi toscana è assistente ecclesiastico, con una risposta implicita: il milaniano «prendersi cura» come contenuto forte di quel «nuovo umanesimo» su cui la Chiesa si sta interrogando; ma anche come «motto» per una attività giornalistica eticamente sostenuta. Come invito a «fermarsi sui dettagli» che è eredità di quel don Milani che, scrivendo a Nadia Neri, giovane studentessa napoletana, il 7 gennaio 1966 («Non si può amare tutti gli uomini») esprimeva un concetto («Quando avrai perso la testa, come l’ho persa io, dietro poche decine di creature, troverai Dio come un premio») che ancora si respira, nell’aria pulita di Barbiana.
E a proposito di umanesimo ha molto colpito la relazione di Andrea Vaccaro, docente all’Istituto di Scienze Religiose di Firenze e protagonista raffinato nel solco della «cyberteologia», sul possibile contributo teologico fornito dalle tecnologie. Intriganti, nel rapporto fra cristiani e tecnologia, un rapporto che Vaccaro sottolinea non in termini di diffidenza bensì di amicizia, le «dieci azioni teologiche» consentite dalla sempre più galoppante innovazione tecnologica. Una innovazione che permette all’uomo – ed è la prima fra le azioni – di «coltivare sé stesso», dando ad esempio quel tempo libero che l’uomo può utilizzare non tanto per alienarsi quanto per contemplare, per pregare.
Chi vuole saperne di più, può accostarsi all’ultimo volume di Vaccaro (Dehoniane): «Linea Obliqua. Il ruolo della tecnologia nella riflessione teologica».