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Ucraina. Parla il nunzio apostolico di Kiev: “Il mio posto è qui”

Intervista a mons. Visvaldas Kulbokas, nunzio apostolico in Ucraina: “Ho non soltanto il dovere, ma anche la possibilità di stare vicino alla gente".

La nunziatura apostolica rimane a Kiev. Raggiunto telefonicamente dal Sir è il nunzio apostolico in Ucraina mons. Visvaldas Kulbokas a dirlo. “Mi trovo nella nunziatura a Kiev”, racconta. “Siamo in uno dei quartieri centrali della città. Siamo qui con due collaboratori e la comunità delle religiose che assistono la nunziatura. Abbiamo accumulato alcune scorte di viveri già prima dell’azione di guerra come la maggior parte degli abitanti di Kiev, anche se tanti non credevano che la situazione potesse precipitare in questo modo.Avremo quindi per un po’ di tempo viveri e acqua, certo non per lunghissimo tempo. Il problema della grave crisi umanitaria già si sta ponendo ad alcuni e man mano con il passare dei giorni si estenderà a tutta la città di Kiev ma anche ad Kharkiv, Odessa, Mariupol, Kherson, la situazione è simile”.

Siete quindi preoccupati per le scorte di cibo e acqua?

Sì, questo problema è destinato ad aggravarsi. Fin dall’inizio ero in realtà molto preoccupato per chi è malato e fragile. Come fa per farsi curare in queste situazioni? Soprattutto per chi non ha potuto né avuto la forza di evacuare ed è rimasto. C’è preoccupazione anche per le partorienti. Ci sono tanti bambini nati nei rifugi sotterranei, senza alcuna assistenza specializzata. Il dramma è forte.

A questo si aggiungono le bombe. Come è andata la nottata?

Bisogna in ogni caso recuperare le forze e abbiamo quindi abbiamo individuato dei luoghi che valutiamo relativamente più protetti in caso di un attacco missilistico. Dormiamo quindi nei materassi che abbiamo disposto in alcuni punti, anche nello scantinato. Anche la messa la celebriamo in un luogo che riteniamo più sicuro.Tengo però sempre con me lo zaino con l’essenziale: un po’ di acqua, i documenti, il telefono, per essere pronti a tutto.

Voi quindi come nunziatura, come corpo diplomatico della Santa Sede, avete deciso di restare a Kiev. Perché?

Perché non siamo soltanto un’ambasciata. Io qui rappresento il Papa presso l’Ucraina, ma anche presso il popolo e presso le Chiese in Ucraina. Ho non soltanto il dovere, ma anche la possibilità di stare vicino alla gente. Quindi il mio posto è qui. Certo, se vedessimo che umanamente è impossibile restare, si porrà la questione ma per il momento se si riesce a stare qui, noi non ci muoviamo.

La presenza della nunziatura diventa così la presenza simbolica di papa Francesco nel cuore di questa guerra.

Sì, e questo ha un significato molto forte anche per me. Perché stando qui, in qualche modo, possiamo sentire il dramma di chi soffre il fuoco delle armi, il freddo, il pericolo, le ferite e addirittura la morte. Ma possiamo anche percepire molto forte la solidarietà tra gli ucraini, di tutte le confessioni e religioni. Ogni giorno mi chiama l’assistente del Mufti che chiede se abbiamo cibo e acqua sufficienti o bisogno di accogliere qualcuno. Lo stesso fanno i cattolici nelle chiese e lo stesso gli ortodossi, gli ebrei. C’è quindi tanta solidarietà e vedere questa unità è una esperienza bellissima e molto forte. A questo si aggiunge poi una solidarietà molto forte che ci arriva dall’esterno, di chi prega per la pace, per noi che siamo qui. E di chi ci pensa, chi con il cuore si sente vicino a noi.E’ come se fossimo, in questi giorni, la capitale spirituale del mondo dove si riunisce da una parte il dramma ma dall’altra anche la bellissima risposta dell’umanità.

Abbiamo seguito papa Francesco nella sua azione diplomatica, anche con gesti a sorpresa. Come qualificherebbe oggi la diplomazia del Papa e come sono state accolte le sue iniziative in Ucraina?

Tantissimi mi hanno chiamato e mi hanno chiesto di trasmettere al Papa un’immensa gratitudine per l’attenzione, per la preghiera e anche per i tentativi fatti che non sono soltanto diplomatici ma sono anche umani, da pastore. Il Papa è certamente vicino all’Ucraina che soffre, però è vicino a tutti.Il Papa ha detto che la guerra va fermata sempre, nessun motivo può giustificare la guerra. La guerra è un’opera del diavolo e devono quindi compiersi tutti gli sforzi possibili per fermarla.La seconda cosa è che siamo tutti fratelli e l’opera della Chiesa è riconciliare tutti. Seminare non l’odio ma l’amore, la fratellanza. Auguro a tutti di unirsi a questa missione di condanna della guerra e di unione spirituale e rappacificante con tutti.

Oggi, inizio della Quaresima e Mercoledì delle Ceneri, si celebra la Giornata di preghiera e digiuno per la pace. Con quale spirito la vivrete oggi a Kiev?

Oggi abbiamo una giornata molto importante, su invito di papa Francesco. È la Giornata di preghiera per la pace la quale è rafforzata dal fatto che si celebra all’inizio della Quaresima, nel Mercoledì delle Ceneri. È una preghiera di supplica molto umile, di conversione. A volte noi abbiamo il dubbio sulla preghiera, come se fosse una supplica solo personale. La preghiera non è soltanto questo: è solidarietà anche di chi non è credente, è vicinanza, è fratellanza. Contribuisce alla pace perché distrugge le fondamenta stessa della guerra. Elimina l’arroganza, la mancanza di responsabilità. Genera conversione, ci consegna lo spirito di umiltà.La preghiera ci unisce sia con Dio sia tra tutti noi e nella preghiera diventiamo di nuovo in Dio suoi figli e fratelli gli uni per gli altri, attenti, solidali, misericordiosi, giusti, corretti, pieni di rispetto e di amore. E quando Dio ci vede così, non può rimanere indifferente e non darci in dono la pace.