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Ucraina, fragile tregua con i filo-russi
L'analisi di Germano Dottori, docente di studi strategici alla Luiss: «Difficilmente si arriverà alla pace se non vengono realizzate due condizioni». Una interna: «Il varo di un sistema fortemente decentrato». E una internazionale: «Il mantenimento dell'Ucraina in uno stato di neutralità». E l'Europa? «La politica europea la sta facendo sempre più la Germania e i tedeschi hanno cominciato a immaginare di diventare la potenza occidentale di riferimento dell'Est».
Fragile, fragilissima tregua nel Donbass. A Minsk è stato firmato dall’Ucraina e dai ribelli filo-russi un “protocollo preliminare” di 14 punti sotto l’egida della rappresentante Osce Heidi Tagliavini. E mentre in Bielorussia si lavora a una soluzione del conflitto ucraino, a Newport in Galles i leader della Nato hanno deciso di “invertire l’andamento di riduzione dei bilanci per la difesa” e di portarli al livello del 2% del Pil entro 10 anni. Si gioca dunque a guerra e pace in Europa. Ma il rischio è altissimo. Germano Dottori insegna studi strategici alla Luiss.
Professore, quanto sono attendibili gli accordi sul cessate-il-fuoco?
“Non c’è una regola generale. C’è però un certo scetticismo. Le leadership dei due Paesi sono coinvolte al massimo livello, impegnate da una lato con il presidente ucraino Poroshenko e dall’altro con il presidente russo Putin. Nessuno però sa se Putin e Poroshenko controllano al 100% le persone che sono sul terreno. Questo è il punto fondamentale ed è molto facile creare le premesse perché la spirale della violenza riprenda, quando ci sono elementi motivati a far saltare un accordo”.
Dove è il nodo da sciogliere perché scoppi la pace?
“Ben difficilmente si arriverà alla pace se non vengono realizzate due condizioni. Una condizione interna è il varo di un sistema federale o quanto meno fortemente decentrato. Una specie d’indipendenza di fatto all’interno di uno Stato supremo che non viene toccato”.
E la condizione internazionale?
“È il mantenimento dell’Ucraina in uno stato di neutralità. Cioè, l’Ucraina può anche essere associata all’Unione europea ma non deve entrare nell’Alleanza Atlantica perché questa sarebbe percepita come un’aggressione diretta alla sicurezza della Federazione russa”.
Intanto a Newport la Nato dà il via a un piano d’intervento rapido. Di cosa si tratta?
“Sono contingenti formati dai 4 ai 10mila soldati a seconda delle configurazioni. Si tratta di reparti mobili, facilmente schierabili e impiegabili in un punto qualsiasi nei territori dell’Alleanza Atlantica, che venisse interessato da una qualche forma di aggressione”.
E dove vengono posizionate queste forze?
“Al momento attuale è tutto da vedere e da stabilire. Possono essere forze preassegnate che vengono mobilitate su chiamata”.
L’Italia è impegnata?
“Penso proprio di sì. Queste forze sono pensate per la sicurezza del Baltico ma nulla vieta d’immaginare che alcuni elementi possano essere impiegati nel Mediterraneo oppure, come qualcuno dice, anche contro le milizie del Califfato nell’Iraq settentrionale. Non è escluso perché una volta stabilito lo strumento, esso può essere applicato ovunque. Ma non è tanto questa forza la novità che conta”.
E qual è?
“È il fatto che verranno stabilite cinque nuove basi permanenti in territori vicini alla Federazione Russa”.
E dove?
“Non mi pare che sia stato ancora detto. Immagino che una o due basi saranno allestite nelle Repubbliche Baltiche e una in Polonia. Per la prima volta non si parla più di una presenza saltuaria e mobile in questi Paesi a ridosso della Federazione russa ma di una presenza permanente”.
Si sta giocando con il fuoco perché la Russia è una potenza nucleare?
“La Russia è la seconda potenza nucleare del mondo. Ed è l’unico Paese che è in grado di distruggere gli Stati Uniti. Per noi europei è un partner economico di straordinaria importanza”.
E allora perché la crisi è arrivata a questo punto?
“È una situazione complessa da gestire. La mia lettura dei fatti è che la politica europea la stia facendo sempre più la Germania e che i tedeschi abbiano cominciato a immaginare di diventare la potenza occidentale di riferimento dell’Est Europa”.
Come uscirne?
“La mia speranza è che, mano a mano che gli accordi si consolidano e, soprattutto, che non si spari più, la situazione evolva verso una soluzione. Sono processi comunque lunghi. Questa crisi è ancora uno scossone in qualche modo collegabile al crollo dell’Unione Sovietica e alla fine dell’ordine mondiale bipolare. Sono passati 25 anni e ancora il mondo non è posizionato su un nuovo equilibrio. E questo spiega anche perché ci sia nel nostro pianeta quella situazione che ha denunciato il Papa: una specie di terza guerra mondiale in atto. Anche se non c’è un filo conduttore unitario tra loro, sono così numerosi i focolai di crisi in atto, che ci si rende conto che ben poca parte di questo mondo è in pace”.