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Ucraina: chiese aperte, accolgono i feriti e diventano «ospedali da campo»

La testimonianza drammatica di padre Andriy Zelinskyy direttamente da Kiev, mentre si sta dirigendo verso il monastero di san Michele, una delle più importanti e più antiche chiese greco-cattoliche di Ucraina nella capitale

“Non è tanto il fatto che sparano sulla gente. È quello che fanno sulle persone che colpisce. Per esempio, una persona è stata colpita con un martello. L’hanno presa per la testa e l’hanno colpita più volte. A un’altra hanno cucito la bocca con ago e filo. Fanno cose inimmaginabili”. Ma chi le fanno? I berkut? “Sì, la polizia”. È una testimonianza drammatica quella che padre Andriy Zelinskyy racconta direttamente da Kiev, mentre si sta dirigendo verso il monastero di san Michele, una delle più importanti e più antiche chiese greco-cattoliche di Ucraina nella capitale Kiev. Sta di fronte alla sede centrale di Polizia e vicino al ministero degli Esteri.

È qui che stanno portando la maggior parte dei feriti. Preferiscono essere curati nelle chiese perché – come aveva già denunciato qualche giorno fa Sua Beatitudine Sviatoslav Schevchuk al presidente Viktor Yanukovych – la gente ha paura di andare negli ospedali di Kiev a chiedere aiuto perché gli organismi preposti all’applicazione della legge considerano le lesioni subite come prova di un crimine. “Sì – conferma padre Andriy – è un pericolo perché possono essere presi dalla polizia e portati via”. E così le chiese a Kiev sono tutte aperte e i medici hanno organizzato veri e propri ospedali per i manifestanti. Forse è questa la ragione per cui in queste ore le chiese sono prese di mira dalle forze di polizia.