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Tv, una «meraviglia» incapace di mantenere le promesse

di Andrea FagioliCinquant’anni fa, il 3 gennaio 1954, iniziavano le trasmissioni «regolari e ufficiali» della Rai. Cinquant’anni dopo, la televisione, non più solo Rai, ha sulle spalle la responsabilità di aver formato, nel bene e nel male, intere generazioni di italiani.

Quarant’anni fa, il 4 dicembre 1963 (data della pubblicazione dell’Inter Mirifica), i padri conciliari, con preveggenza, mettevano la giovane televisione «tra le meravigliose invenzioni tecniche». Di lì a poco avremmo visto in diretta l’uomo camminare sulla luna, avremmo visto la guerra nel Vietnam, l’elezione di Giovanni Paolo II, la finale Italia-Germania, i funerali di Lady Diana e di Madre Teresa, il raduno di Tor Vergata…, fino al crollo delle Torri Gemelle.

La tv è stata strumento di unificazione linguistica, di cultura, di informazione e di svago, ma anche, e forse soprattutto, di massificazione. È diventata il focolare domestico, il «sempreacceso», la baby-sitter. Sul piccolo schermo è passato di tutto, compresi grandi fratelli e isole dei famosi. La tv ha cambiato gli italiani così come ha cambiato parte del mondo e parte lo sta per cambiare. La tv ha trasformato i valori, in qualche caso li ha stravolti, ha predicato l’effimero, ci ha resi consumatori prima ancora che persone: merce da vendere agli inserzionisti.

Cinquant’anni dopo, la tv è sempre più invadente e sempre più ripiegata su se stessa: non racconta la realtà, ma la costruisce e la costruisce rappresentando se stessa.Cinquant’anni dopo, la tv è sempre più fatta da gente di tv con altra gente di tv: un direttore di RaiUno che tira una microfonata sul naso all’«inviato» di Canale 5; conduttori di Tg e delle varie porte a porte che non riparano a saltare da un programma all’altro per promuovere il proprio libro; beceri attori e cantanti finiti nel dimenticatoio che «risorgono» a suon di trivialità e comparsate televisive. È la tv dei dibattiti che ruotano su se stessi, dove un’opinione vale l’altra, un professore universitario vale un comico, una soubrette un vescovo.

Quella tv che quarant’anni fa il Concilio metteva «tra le meravigliose invenzioni tecniche» non è riuscita, in gran parte, a mantener fede alle promesse. Colpa anche di una classe politica incapace di mettere mano nel corso dei decenni ad una legge organica che regolasse l’intero sistema radiotelevisivo. Si è sempre preferito fotografare l’esistente confermando così, dalle Legge Mammì in poi, il duopolio Rai-Mediaset e la spartizione in due di una torta pubblicitaria che ha spinto le reti ad una programmazione al ribasso.

E di recente, la classe politica l’ha fatta talmente grossa da costringere il presidente della Repubblica a rimandare al Parlamento la cosiddetta Legge Gasparri, che andava addirittura contro la Corte Costituzionale. Bravi comunque i ministri che in quattro e quattr’otto (15 minuti per l’esattezza) e senza il presidente del Consiglio hanno varato il decreto salva Rete4 e RaiTre. Se ne riparla a maggio.