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«Tutte le genti verranno a Te». Lettera Cei sulle migrazioni
Desideriamo anzitutto ringraziare e incoraggiare quanti a livello nazionale, regionale, diocesano e parrocchiale si stanno da tempo prodigando perché il Vangelo sia presentato agli immigrati, mediante la testimonianza della carità e le varie forme di promozione umana e con l’annuncio diretto a chi non l’ha ancora conosciuto o a chi, anche a causa delle vicende migratorie, rischia di perderne la memoria.
In questi anni si sono moltiplicate le letture del fenomeno migratorio, con sensibilità e mentalità diverse, con varietà di reazioni e valutazioni; tanti infatti sono i problemi, complessi e scottanti, ad esso collegati. Con il coraggio della fede e l’audacia della carità, vogliamo riconoscere che l’intenso e multiforme migrare di così tante persone è in primo luogo per le nostre comunità un vero areopago di evangelizzazione. Ogni cristiano non può non riconoscervi un’occasione provvidenziale per sentirsi confermato e rinnovato nel proprio credere, se è vero che «la fede si rafforza donandola» (GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris missio, n. 2).
Il Signore Gesù ha voluto identificarsi con questi nostri fratelli e sorelle: «Ero forestiero e mi avete ospitato» (Mt 25,35). Dobbiamo riscoprire tutta la responsabilità di questa prospettiva esaltante, capace di inondarci di luce interiore, per riconoscere fin d’ora il Cristo nel volto non sempre trasfigurato, spesso anzi sfigurato, dello straniero.
La recente Nota pastorale dell’Episcopato italiano Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, richiamando il n. 58 degli orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il primo decennio del Duemila Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, ha riproposto all’attenzione delle nostre Chiese il tema delle migrazioni e ha individuato nelle migrazioni un vero kairòs, un fattore qualificante di rinnovamento per la parrocchia, se questa saprà valorizzare e sviluppare nei confronti dei migranti «le potenzialità missionarie già presenti, anche se spesso in forma latente, nella pastorale ordinaria» (n. 5). Tra i mutamenti in atto, infatti, occorre prestare particolare attenzione alla crescente presenza in Italia di tanti stranieri, con evidenti risvolti sociali, economici, culturali ed anche religiosi. Nei loro confronti la comunità ecclesiale italiana, fedele al Vangelo della carità, ha svolto con generosità un ruolo attivo e solidale nell’accoglienza, maturando nel contempo una progressiva consapevolezza che l’attenzione ai migranti configura un capitolo nuovo, sostanzialmente inedito, dell’impegno missionario, aprendo spazi inediti per mostrare come al centro del Vangelo della carità ci sia la carità del Vangelo.
Inserita nella pastorale ordinaria, che coinvolge parrocchie, organismi e gruppi ecclesiali e di ispirazione cristiana, la pastorale per i migranti tende a configurarsi come una pastorale d’insieme di ampio respiro missionario. Questa prospettiva, è stata approfondita in un Convegno svolto a Castelgandolfo (25-28 febbraio 2003) sul tema Tutte le genti verranno a Te. Le indicazioni finali di quel Convegno, preparato unitariamente da più organismi e uffici pastorali, sono state oggetto di riflessione nel Consiglio Episcopale Permanente e vengono ora riproposte in questa Lettera.
Per poter collocare dentro questo orizzonte anche il mondo delle migrazioni, si richiede che queste siano avvertite come risorsa provvidenziale di missionarietà. La presenza straniera in Italia, infatti, rappresenta uno specifico e sempre più rilevante campo d’azione per l’opera di evangelizzazione, intesa nel senso più ampio, a partire dalla stessa missio ad gentes. Diverse realtà ecclesiali hanno saputo proporre in questi anni una vasta gamma di interventi assistenziali, promozionali e formativi, che solo la fantasia della carità poteva pensare; non di rado anche con gesti e parole profetici.
Nel contesto di questa esperienza, nelle nostre Chiese, si è andata sempre più radicando la consapevolezza che l’evangelizzazione promuove l’uomo nella sua interezza e che questa promozione della persona umana rappresenta di per sé una significativa azione evangelizzatrice; anzi è già, benché non in modo pieno, evangelizzazione. Con il passare degli anni, però, si è fatta anche sempre più avvertita ed esplicita la necessità di prestare attenzione alle istanze religiose che il migrante, in forma più o meno consapevole, porta con sé. Si è così intensificata nei loro confronti e nei confronti dei rispettivi gruppi etnici di provenienza un’opera di evangelizzazione diretta, risultata peraltro più credibile ed efficace grazie alla prosecuzione delle iniziative sociali, caritative, di promozione umana, culturale e spirituale realizzate in loro favore.
Sarebbe tuttavia ingenuo attendersi che tale novità venga assunta in modo spontaneo, quasi che un rinnovato impegno missionario possa nascere senza una base di adeguata consapevolezza. Occorre sensibilizzare e accompagnare i credenti affinché attraverso questa nuova opportunità diventino discepoli e apostoli insieme.
3. Alcune recenti rilevazioni statistiche mostrano che dal punto di vista religioso i migranti, giunti ormai in Italia a quasi tre milioni, possono essere raggruppati in tre tipologie: circa la metà sono non cristiani; l’altra metà è suddivisa in parti pressoché uguali tra cattolici e non cattolici.
Verso un numero consistente di migranti residenti in Italia, «quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore Dio nostro» (At 2,39), siamo debitori del primo annuncio del Vangelo e di una testimonianza coerente di vita. Il Signore, infatti, vive nel cuore di ogni persona creata a sua immagine e alimenta l’inquietudine che tende alla ricerca di lui, anche in modo inconsapevole. Abbiamo il dovere di dare un volto a questo desiderio di pienezza di vita che anima ogni uomo e ogni donna, quel volto che ha i lineamenti di Gesù Cristo, il salvatore di tutti. Il dialogo interreligioso resta un dovere che scaturisce dalla nostra stessa fede ed è strumento decisivo anche per una serena convivenza civile, oltre che testimonianza importante della trascendenza; esso però non è alternativo all’annuncio. Questo, rifuggendo le forme del proselitismo, resta un dovere fondamentale di ogni cristiano, mandato per comunicare a tutti il bene prezioso della fede in Cristo che ha ricevuto.
Uno spazio concreto di esercizio del cammino ecumenico, che sollecita gesti concreti di fraterna accoglienza, ci è offerto dal numero rilevante tra gli immigrati di cristiani non cattolici. Tra loro si fa sempre più consistente, in termini assoluti e percentuali, la presenza degli ortodossi, provenienti soprattutto dai paesi dell’Est. La comunione di fede e di esperienze esistenziali è facilitata nei loro riguardi dalla condivisione di radici culturali comuni e dal riconoscimento della presenza tra loro di essenziali elementi di santificazione e di verità. Su questa base va fatto crescere il dialogo e la fraternità, aiutando queste comunità nell’esercizio della loro vita di fede, approfondendo la reciproca conoscenza, cercando momenti di comune lode del Signore Gesù.
Sempre più considerevole in questi ultimi anni è divenuto anche il numero dei migranti che professano la fede cattolica. Parte di loro sembra ancora gregge senza pastore; altri sono già inseriti nelle parrocchie e le arricchiscono con la bellezza e varietà delle espressioni di fede dei loro paesi d’origine; altri, infine, hanno possibilità di usufruire del servizio religioso nei centri pastorali etnici a loro dedicati. Si tratta di una provvidenziale opportunità offerta a questi cattolici stranieri, i quali, pur avendo conservato o recuperato in Italia la vivacità della loro fede, hanno bisogno di un’attenta cura pastorale, che tenga conto di specifiche esigenze di lingua, cultura e tradizione. Occorre poi non ignorare le difficoltà conseguenti ai traumi che accompagnano la vicenda migratoria, le tentazioni secolarizzanti della nostra società e le suggestioni esercitate dal proselitismo militante delle sètte e dei nuovi movimenti religiosi. Tanti, inoltre, si presentano bisognosi di rievangelizzazione o di una nuova evangelizzazione; benché infatti non sia del tutto cancellato in loro un autentico sentimento religioso cristiano e un certo senso di appartenenza alla Chiesa, non hanno però potuto godere nel loro Paese di origine di un accompagnamento capace di condurli a una vera e matura esperienza di fede.
Si apre dunque per le nostre comunità e per i singoli credenti un nuovo campo d’azione in nome del Vangelo, una messe abbondante che proprio per la sua vastità e varietà richiede una profonda comunione e sintonia spirituale, una convergenza di intenti e di azioni, così da poter tradurre sempre più in atto, anche nell’ambito delle migrazioni, una vera pastorale d’insieme. Si tratta di condividere una duplice responsabilità: offrire il primo annuncio a coloro che non hanno ancora incontrato Cristo e confermare nella fede quelli che dalla loro condizione di migranti possono ricevere un pregiudizio nell’esercizio della sua sequela. Questo dovrà avvenire mediante un’azione pastorale organica, che si preoccupi di trovare forme adeguate alle diverse culture nel trasmettere la fede e nel sostenerla; ma dovrà sempre poter far affidamento su una testimonianza, quale quella mirabilmente descritta nell’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, così che la vita delle nostre comunità faccia «salire nel cuore… domande irresistibili: perché sono così? perché vivono in tal modo? che cosa o chi li ispira? perché sono in mezzo a noi?» (PAOLO VI, Evangelii nuntiandi, n. 21).
La prevalente attenzione all’immigrazione non deve, infine, farci trascurare le altre forme di mobilità che interessano molte diocesi, come il protrarsi degli spostamenti degli stessi italiani dal Sud al Nord del Paese e la persistente massiccia presenza di emigrati italiani, soprattutto nell’area europea. Né vanno dimenticati gli altri fenomeni che chiedono specifica attenzione pastorale, come i nomadi, i marinai, i circensi, i lunaparkisti, ecc. Anche per loro valgono gli stessi interrogativi e le stesse urgenze intorno al primato dell’evangelizzazione.
5. I campi di applicazione della pastorale d’insieme nel settore delle migrazioni sono quelli della vita quotidiana delle nostre comunità: annuncio, catecumenato, catechesi, liturgia, carità, pastorale familiare, giovanile, scolastica, vocazionale, missionaria, ecumenica, del lavoro, del tempo libero, della salute, della comunicazione e della cultura. Ciascuno di questi ambiti fa riferimento a uno specifico ufficio od organismo diocesano, ma comporta inevitabili e provvidenziali punti di contatto con altri servizi, offrendo opportunità per programmi articolati e integrati.
6. Carissimi nel Signore, vi abbiamo manifestato il nostro pensiero sulle urgenze pastorali connesse con il fenomeno delle migrazioni, invitandovi a guardare le persone degli immigrati, fratelli nella fede e nell’umanità, che ci interpellano chiedendo una parola di speranza e di verità oltre che un cuore accogliente. Le nostre Chiese, che non hanno mai ignorato questa attesa, devono sapere offrire loro Cristo salvatore, attraverso un’organica azione pastorale, sussidiata da strutture e strumenti appositamente predisposti. Infatti il cammino missionario delle nostre comunità, già così attivo su tanti fronti, potrà così arricchirsi di questo particolare dono che, grazie alla varietà dei popoli che oggi vivono nel nostro Paese, ci permette di rispondere con gioia all’invito dello Spirito a condividere con tutti gli uomini la nostra fede che «Gesù è il Signore!» (Rm 10,9).
Mentre incoraggiamo a perseverare quanti già operano in questo settore di frontiera, invitiamo tutti gli operatori pastorali a farsi compagni di viaggio dei migranti, memori della parola del Signore: «ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40), e al tempo stesso convinti che anche nei loro riguardi vale il mandato apostolico: «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28,19-20). Ci sostiene la certezza della parola che Gesù subito dopo aggiunge: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).