Opinioni & Commenti

Trent’anni dopo, cosa resta del divorzio

di Umberto SantarelliLa decisione di festeggiare la ricorrenza trentennale del referendum popolare che lasciò in vigore la legge istitutiva del divorzio in Italia ha rinfocolato a freddo qualche vecchia polemica, che – come spesso succede quando si decide di rivangare in terreni lasciati sodi per anni – ha finito col prendere i toni falsi e retorici dei raduni di anziani reduci di guerra. Invece sarebbe indispensabile che tutti, ragionando d’un problema tanto grave com’è la stabilità della famiglia, resistessero alla tentazione di risolvere tutto in una specie di duello all’ultimo sangue tra «civiltà» e «barbarie».

Bisognerebbe avere tutti l’accortezza di rammentarsi che le regole giuridiche sono in larga misura il prodotto naturale della storia, e che ogni società avrà sempre il diritto che la sua cultura le consente di avere e che non sempre potrà essere il migliore possibile: proprio in materia di matrimonio nel Vangelo di Matteo (XIX, 8) si legge che perfino la Legge mosaica, contro le ragioni ovvie e sacrosante della giustizia sostanziale, aveva consentito agli ebrei di ripudiare la moglie per via della durezza del loro cuore.

Il problema che tutti insieme bisognerebbe aver la pazienza di porci è di sapere se è stata la legge a creare (o, per lo meno, a moltiplicare e a rendere invincibili) le potenziali situazioni di divorzio, o se queste hanno indotto il legislatore (che magari in cuor suo non cercava di meglio) a render dissolubile il matrimonio. E sempre tutti insieme bisognerebbe convenire che, come dice la Costituzione, la famiglia fondata sul matrimonio è una società naturale che dev’esser riconosciuta, così come nei momenti di crisi devono esser sempre e incondizionatamente tutelati i soggetti naturalmente più deboli. E, ancora, ci sarebbero da segnare chiaramente i limiti – naturali e insuperabili – al riconoscimento indiscriminato di qualunque possibile «libertà».

Quando, più di trent’anni fa, di queste cose si discusse, qualcuno (se la memoria non fa cilecca fu Giulio Andreotti) propose il doppio regime tra matrimonio soltanto civile e matrimonio concordatario (questo da mantenere indissolubile, proprio per rispettare fino in fondo la libertà di tutti); ma, come succede al solito, nel buggerìo della polemica, si preferì imbroccare a furor di popolo la strada – poco giudiziosa, ma «eroica» – del tutto o nulla; e la storia finì come finì.

Ora che tanto tempo è passato da quelle vecchie diatribe, forse si potrebbe, invece di perdersi in celebrazioni inutilmente sonore, ripigliare con calma e tutti insieme il filo del discorso; e, dopo aver constatato l’ovvia situazione d’instabilità di cui soffre la famiglia, cercar la via (che potrebbe non essere per forza e solamente legislativa) per ridar forza nei fatti a valori che sono condivisi molto di più di quanto qualcuno vorrebbe farci credere.