Lettere in redazione
Tre proposte concrete per uscire dalla crisi
L’attuale crisi economica presenta vari aspetti, per i quali spesso non si riescono ad individuare le ragioni profonde. Tutte le ricette che vengono suggerite per la soluzione sembrano non tener conto della storia dell’umanità e delle varie fasi dello sviluppo economico. Da ogni crisi si esce o in positivo o in negativo. Per uscirne in positivo bisogna che ognuno rinunci a qualcosa e tutti si mettano in discussione. Per il Movimento dei focolari, che propugna la comunione dei beni e ha dato origine all’Economia di Comunione, potrebbe essere questo il momento di far riflettere anche «gli altri» su queste basi, onde far avanzare proposte concrete, legislative e culturali. Mi permetto di fare tre proposte. La prima. Adriano Olivetti, 50 anni fa, proponeva cinque livelli di retribuzione, tra il minimo e il massimo, per i dipendenti di una azienda. Questi insegnamenti non sono minimamente recepiti nell’attuale situazione: se si pensa alla differenza tra lo stipendio di Marchionne e quello di un operaio, si resta allibiti! Si potrebbe proporre che, se il minimo è mille euro al mese, il massimo non dovrebbe superare i cinquemila, per cui tutti i dipendenti che percepiscono più di questa cifra potrebbero essere pagati in Bot, in attesa di una soluzione più equilibrata.
Una seconda idea riguarda la riforma delle pensioni, che non prevede niente di nuovo per le prossime generazioni. L’accumulo per l’età dell’acquiescenza potrebbe invece avvenire attraverso una forma di previdenza obbligatoria dalla nascita in poi, con contribuzione sia individuale che da parte dello Stato (con una tassa indiretta tipo Iva). Questo permetterebbe a tutti i cittadini di essere sicuri del proprio futuro, e allo stesso modo diminuirebbe l’onere previdenziale delle aziende.
Infine, occorre giungere all’eliminazione dell’eredità, una stortura valida nel periodo della civiltà agricola predominante, ma senza valore in una società post industriale: la disgregazione della famiglia patriarcale, infatti, tra le sue conseguenze porta anche ad una distorsione del meccanismo dell’eredità. I movimenti cattolici, in particolare, e i movimenti laici lasciano spesso libertà di donazione dell’eredità alla Chiesa o alle fondazioni. Sulla base di queste esperienze sarebbe auspicabile una legislazione quadro che permetta la scelta di lasciare la propria eredità a disposizione della società, nelle forme e nei modi che ogni comunità potrebbe organizzare.
Mi sembrano tre proposte concrete sulle quali mi piacerebbe aprire una discussione tra i nostri lettori, perché non sono misure di poco conto e neanche di facile attuazione. Che in questi ultimi anni sia cresciuto il divario nelle retribuzioni è un dato evidente. Non so se le cinque fasce di reddito proposte da Adriano Olivetti cinquant’anni fa siano una risposta realmente applicabile in un’economia di mercato, ma certi stipendi di manager e dirigenti, anche pubblici, sono davvero scandalosi. Una recente ricerca della Banca d’Italia (Giovanni D’Alessio, «Ricchezza e disuguaglianza in Italia»), ha evidenziato come i dieci individui più ricchi posseggano quanto i tre milioni di italiani più poveri e che negli ultimi decenni il rapporto tra la ricchezza e il reddito è all’incirca raddoppiato.
«In altri termini scrive D’Alessio la ricchezza sta assumendo un ruolo via via crescente tra le risorse economiche che definiscono la condizione di benessere di un individuo». Se c’è quindi eccessiva disparità tra gli stipendi più alti e quelli di un normale lavoratore, c’è ancora più differenza sul piano del patrimonio, che si accumula nel tempo. Il 10% delle famiglie più ricche detengono infatti il 40% di tutte le ricchezze, mentre percepiscono il 27% di tutto il reddito. E qui si inserisce la terza proposta del nostro lettore.
Abolire del tutto l’eredità mi sembra improponibile, anche tenendo conto del fatto che l’80% degli italiani possiede un’abitazione e che gran parte delle piccole imprese o degli esercizi commerciali vivono grazie alla continuità familiare. Nel 2001 il governo Berlusconi, con la legge 383, era andato nella direzione opposta, abolendo le tasse di successione. Nella finanziaria 2007 il governo Prodi le reintrodusse, ma solo per i grandi patrimoni, prevedendo una franchigia di un milione di euro per successioni tra genitori e figli (oltre la quale si paga il 4%) e di centomila euro per quella tra fratelli (oltre si paga il 6%). Per tutti gli altri soggetti che ereditano l’imposta di successione è all’8%. Per i soggetti portatori di handicap la franchigia è di un milone e mezzo di euro e tra i beni esclusi dall’imposta vi sono anche le aziende familiari e le partecipazioni sociali.
Claudio Turrini