Prato

«Tre parole: formazione, giovani e sinodalità»

Quello che ci siamo lasciati alle spalle è stato un anno pastorale intenso, che ha avuto il suo apice lo scorso 10 novembre con la visita del Papa in città. Proprio dalle parole di Francesco, pronunciate dal pulpito di Donatello, la Chiesa di Prato intende ripartire a settembre con il tradizionale convegno diocesano, nel quale saranno tracciate le rotte per il cammino della comunità ecclesiale. In questo ultimo numero del giornale, prima della pausa estiva, facciamo un bilancio del cammino diocesano recente con uno sguardo ai prossimi mesi.

Eccellenza, quello appena trascorso, è stato un anno pastorale segnato dal Giubileo della Misericordia, dal Convegno ecclesiale di Firenze, dall’impegno della visita pastorale, ma soprattutto è stato caratterizzato dalla visita di papa Francesco. Che anno ha vissuto la nostra Chiesa?«Un anno ricco e interessante, non solo per la Chiesa ma anche per la città. La visita del Papa è stato un evento di breve durata ma estremamente significativo. Intenso, fin dalla preparazione che ha visto coinvolta non solo la diocesi ma anche il mondo laico, a partire dalle istituzioni cittadine. Una partecipazione corale senza preclusioni. È stato significativo. Anche oggi viviamo di questo evento, negli ultimi tempi ci stiamo incontrando, discutiamo le parole del Santo Padre, anche quelle pronunciate al Convegno di Firenze. Quest’ultimo ha segnato una svolta positiva per tutta la Chiesa italiana. È stato vissuto da tutte le persone coinvolte in modo pieno anche grazie alla metodologia usata. Indovinata la scelta di mettere attorno a un tavolo giovani e sacerdoti, laici e vescovi. Finalmente si è vissuta appieno la sinodalità, parola spesso invocata ma poco praticata. Sull’Anno della Misericordia posso dire che ha avuto un inizio molto positivo con una grande partecipazione da parte delle parrocchie. Tante le categorie che hanno vissuto il loro Giubileo e le iniziative continueranno fino al 13 novembre, giorno di chiusura dell’Anno Santo. C’è stata tanta grazia, confermata dall’alto numero di confessioni registrate nelle chiese giubilari della diocesi». Parliamo ancora della visita del Papa. Lei sta continuando il lavoro di ascolto della città per la costruzione dei «patti di prossimità» invocati da Francesco. Come sta rispondendo Prato a questi inviti al dialogo? «C’è risposta e voglia di incontrarsi, ed è un fatto positivo. Significa che l’emozione del 10 novembre non è caduta nel dimenticatoio. Anche nel mese di luglio abbiamo incontrato alcune categorie professionali. Nei nostri colloqui non ci sono buoni auspici ma riflessioni che andranno tradotte in scelte concrete, piccole e grandi che siano. Il lavoro riprenderà a settembre». Quest’anno non sono mancati momenti difficili e dolorosi. Come la tragedia in San Francesco.«La vita è fatta di gioie e di dolori, non possiamo dimenticarlo mai. Accanto a tante corrispondenze occorre essere pronti e reattivi di fronte alle provocazioni del mondo. Ci sono fatti e avvenimenti come questa tragedia (il suicidio di Marcello Maiolino, avvenuto il primo dicembre dello scorso anno NdR) che ci ha colpiti duramente. Chi ha spinto a un esame di coscienza e ha rischiato di creare disunione e discordia. Vorrei ribadire che nessuno ha cercato l’irreparabile. Quanto è successo ci ricorda di avere maggiore attenzione verso emarginazione e povertà. La divisione al nostro interno non porta a nulla, è solo deleteria, il cammino che abbiamo davanti si percorre solo rimanendo uniti». Da quando è arrivato in diocesi lei ha ordinato sei nuovi sacerdoti in tre anni. Sono un buon numero. Che periodo sta vivendo il nostro Seminario? Prato è un terreno fertile per le vocazioni?«Queste ordinazioni non sono poche. Questi nuovi sacerdoti sono come figli da custodire. Il Seminario è la perla preziosa della diocesi, la prima premura per un vescovo. Ma non possiamo accontentarci di questo risultato, il lavoro sulla pastorale vocazionale deve al centro della stima e dell’operato di tutti. Anche con la preghiera, non lo dimentichiamo. Preghiamo affinché il Signore mandi sacerdoti di fronte alle penuria di operai e alla abbondanza di messi. Oggi abbiamo giovani che stanno riflettendo sulla loro vocazione, dobbiamo sostenerli». A fine giugno c’è stata la presentazione del rendiconto economico finanziario della diocesi ai sacerdoti. Qual è la situazione della nostra Chiesa?«Per quanto riguarda l’amministrazione ordinaria, grazie all’attenzione di chi la guida e la imposta, le cose vanno in modo normale. Quello che mi preoccupa è la realtà pregressa e il pagamento dei mutui che abbiamo dovuto sottoscrivere. Tra poco infatti inizieranno le scadenze di pagamento. Sugli aspetti economici i parroci devono lavorare meglio, non tutti inviano i rendiconti delle parrocchie in curia come invece dovrebbero fare. Questo è importante e serve anche ad essere solidali con i bisogni diocesani». L’estate è anche un momento di decisioni per il prossimo anno. Una di queste riguarda Villa del Palco. A un anno dalla sua chiusura la Casa dei ritiri della diocesi è affidata ai Ricostruttori nella Preghiera. Perché questa scelta? Qual è il futuro del Palco?«Sono contento di essere arrivato a questa conclusione perché mi preoccupava un po’ la Villa del Palco. La sua gestione richiede disponibilità, presenza e competenza che noi come diocesi non potevamo più garantire. Per cui ci siamo guardati in giro e abbiamo fatto una proposta ad alcune istituzioni di carattere religioso, ma non solo ci sono cordate laiche che hanno fatto la loro proposta. La scelta è caduta sui Ricostruttori perché garantiscono quello che abbiamo chiesto a tutti: di non far venir meno e anzi portare avanti le finalità per cui la Villa fu allora acquistata ed è stata vissuta in questi lunghi anni, come luogo di incontro, di ritiri, di meeting di carattere spirituale e culturale. Finalità da conservare. La proposta dei Ricostruttori è stata presentata ai Consultori e al Consiglio presbiterale che hanno accettato in modo pressoché unanime. Villa del Palco continuerà ad essere ciò che tutti conoscono». Ci saranno altre decisioni per il prossimo anno? Penso a cambi dei parroci.«Per il momento grandi cambiamenti non ce ne sono. Stiamo però pensando a come riorganizzare la vita della diocesi. Vogliamo dare più importanza e centralità alle vicarie. Io credo nelle unità pastorali, a parrocchie vicine che insieme programmano obiettivi e attività da fare insieme, come il corso per catechisti o fidanzati per la preparazione al matrimonio. Oppure i gruppi giovanili. Se cinque giovani non possono costituire la base per un gruppo parrocchiale perché non possono mettersi insieme a quelli della parrocchia accanto?». Quando questa intervista sarà pubblicata lei sarà in Polonia per la Gmg. Cosa si aspetta da questa esperienza e cosa si aspetta dai giovani pratesi una volta tornati a casa?«Io sarò a Cracovia insieme ai nostri giovani. Non ho mai mancato a un appuntamento con la Gmg, sono momenti significativi e fondamentali per capire che il mondo è più grande della cerchia delle nostre colline. Non deve essere una esperienza di evasione, è importante che lasci qualcosa da riportare a Prato. Mi piacerebbe che i giovani potessero tornare con un’ansia missionaria. Sarà l’obiettivo della pastorale giovanile del prossimo anno: andare oltre l’attività ad intra, uscire fuori, interfacciarsi con chi non frequenta le nostre comunità. Far capire e mostrare la bellezza della fede». Parliamo di Prato. In passato anche lei denunciò l’allarmante ritorno della droga in città, soprattutto in centro storico. Sembra che al Serraglio e nelle strade vicino a piazza Duomo la situazione sia migliorata. Ma lo spaccio e il degrado si sono spostati verso la parte est della città. Come vede il centro oggi?«Sono un po’ preoccupato e lo sono anche i sacerdoti del centro storico. È vero, la droga ha lasciato il Serraglio e le strade limitrofe ma il problema esiste ancora e non va ignorato. Mi piacerebbe che il centro fosse vissuto di più dalle famiglie, dagli anziani. Ci sono ancora molta insicurezza e tanti negozi chiusi. Non vorrei che il centro desse l’idea di una città triste e rassegnata». Come detto a settembre si riparte. Il 20 e il 21 si tiene il Convegno diocesano dove saranno indicati gli obiettivi di impegno per l’anno pastorale. Ci può dare qualche indicazione? Su cosa sarà impegnata la Chiesa pratese nei prossimi mesi?«Nei mesi passati ho chiesto a tutti, sacerdoti e laici impegnati, associazioni e movimenti, di farmi avere alcune indicazioni per il prossimo piano pastorale. Anche il Consiglio pastorale diocesano ha lavorato su questo, ci siamo messi attorno a un tavolo in spirito sinodale. Tre le proposte emerse sulle quali lavoreremo. La prima è la formazione. In un mondo come il nostro anche i cattolici hanno bisogno di ritrovare Dio. A questo proposito mi piace citare Kierkegaard, quando dice che la ora la nave è guidata dal cuoco di bordo: la rotta non interessa più ma interessa solo quello che si mangia oggi. È questa la realtà che riguarda tutti e solo persone formate possono fare un salto di qualità. Per annunciare il Vangelo ci vogliono passione e formazione. Secondo punto riguarda i giovani. Se dico giovani dico famiglia, scuola, vocazioni, cultura, matrimonio, sacerdozio. I giovani riguardano tutto e tutti. Il terzo punto è la sinodalità. Non è più tempo di navigatori solitari e estemporanei a oltranza. Anche la parrocchia più organizzata non può lavorare da sola. Siamo figli del particolare perché siamo toscani ma il futuro ci chiede un modo diverso di lavorare». Chiudiamo con un saluto per la pausa estiva.«Certo. Auguro a tutti che questo possa essere un periodo di riposo da vivere nel ripensamento, nella preghiera e con buone letture».

Giacomo Cocchi