Toscana
Trapianti, ispezione in Toscana: regole non rispettate
27 febbraio. Né a Firenze, né a Pisa sarebbero state rispettate le procedure. Questa una prima valutazione, data dalla Commissione Ministero-Regione Toscana-Centro Nazionale Trapianti, sui fatti che hanno coinvolto, a diverso titolo e in tempi diversi, il laboratorio di analisi di Careggi e due laboratori di Pisa nella vicenda degli organi donati da una donna sieropositiva trapiantati su tre pazienti.
La Commissione, si è riunita oggi, 27 febbraio, nella sede della azienda sanitaria di Careggi e ha terminato la prima parte della valutazione ricostruendo nel dettaglio quanto avvenuto. “Abbiamo constatato – ha detto il direttore della rete nazionale Trapianti Alessandro Nanni Costa, che ha tenuto una conferenza stampa – l’esistenza di linee guida specifiche e delle conseguenti procedure ed abbiamo verificato il comportamento degli operatori di Firenze di Pisa”.
“In entrambe le situazioni – ha proseguito – è emerso che le procedure in vigore non sono state rispettate”. Secondo quanto ha spiegato Nanni Costa “a Careggi si è verificata una rilevante non conformità che ha determinato l’episodio di trasmissione dell’infezione di HIV ai pazienti trapiantati; a Pisa la ritardata segnalazione della positività su un test anti-Hiv, effettuato per la conservazione delle valvole cardiache, ha evidenziato una carente organizzazione generale dei laboratori ed evidenti mancanze nella refertazione delle analisi effettuate”.
Secondo la Commissione “l’assenza di consapevolezza rispetto alla necessità di segnalare rischi di trasmissione di infezioni gravi appare palese”. La commissione tornerà a riunirsi venerdì prossimo, quando si recherà a Pisa, “per ulteriori indagini e per approfondire questi aspetti”. In generale, secondo la Commissione, “non si è trattato di carenza di procedure, che saranno periodicamente aggiornate anche in base a interventi di risk management, quanto di insufficiente consapevolezza della specificità del processo della donazione e del trapianto di organi e tessuti, della mancata valutazione delle conseguenze per i pazienti in attesa e trapiantati e per il personale coinvolto”.
“Quanto avvenuto – è stato sottolineato – si è verificato in una Regione che si sta particolarmente impegnando per la qualità della rete trapiantologica e per la sicurezza del paziente”. Nanni Costa, a nome dell’intera Commissione, ha quindi concluso che “appare opportuno promuovere una forte azione di integrazione tra rete dei trapianti e sistemi di gestione del rischio clinico, consapevoli che la sicurezza, requisito prioritario dei livelli essenziali di assistenza del Servizio Sanitario Nazionale come i trapianti, è un obiettivo da perseguire costantemente”. “Su questo punto – è stato annunciato – partirà un importante progetto pilotato da Regione Toscana, Centro Nazionale Trapianti e Ministero della Salute che coinvolgerà i maggiori esperti a livello nazionale ed internazionale”. (ANSA).
E’ stato solo programmatico l’incontro di sabato mattina a Firenze, dove sono giunti il direttore del Centro nazionale trapianti, Alessandro Nanni Costa, e Alessandro Ghirardini, responsabile del rischio clinico per il ministero della Salute. Alla presenza di esperti locali, tra cui il direttore dell’Organizzazione Toscana Trapianti, Franco Filipponi, e il preside della facoltà di medicina di Firenze, Gianfranco Gensini è stato fatto il programma dell’ispezione che entrerà nel vivo la prossima settimana per concludersi, è stato detto, in pochi giorni.
E’ questo il primo passo verso l’attivazione di una serie di ‘anticorpi’ richiesta dalla Regione Toscana dopo che, in una settimana sono stati rilevati due errori verificatisi in un segmento del sistema dei trapianti. La prossima settimana si terrà un audit, voluto dall’assessore toscano, Enrico Rossi, per verificare le procedure e i dati e vedere se esistono punti di criticità nel sistema. Dell’audit, che potrebbe essere coordinato da Andreas Tzakis, ex braccio destro del luminare dei trapianti di Pittsburgh, Thomas Starl, faranno parte il presidente del coordinamento europeo trapianti Raphael Matesanz, Giuseppe Remuzzi, direttore dell’ istituto Mario Negri di Bergamo, Guido Bertolini, direttore del progetto nazionale terapie intensive ed esperto internazionale di malattie infettive, Camillo Ricordi di Miami.
Intanto, dopo che lunedì scorso era stata attivata una inchiesta interna all’ospedale di Careggi, oggi anche l’azienda ospedaliera universitaria di Pisa ha istituito una commissione esterna d’inchiesta col compito di esaminare le cause che hanno portato a comunicare con ritardo le analisi sul sangue della donatrice, eseguite a Pisa dopo quelle trascritte in modo errato a Careggi, che segnalavano la sieropositività della donna.
All’errore umano compiuto a Firenze si è aggiunto quello di Pisa, giudicato di procedura, che è costato la sospensione ai dirigenti dei due laboratori di analisi di Pisa, quello chimico-clinico di Cisanello e quello del Centro trasfusionale del Santa Chiara, dove arrivano da tutta la Toscana campioni di sangue di donatori di organi e tessuti per la validazione di quest’ultimi che vengono conservati nelle quattro banche della regione, tra cui quella di Pisa dove si conservano valvole cardiache e segmenti vascolari.
I due dirigenti analisti potrebbero anche rischiare il licenziamento, come ha detto stamani il commissario Vairo Contini, nel corso della conferenza stampa in cui ha annunciato la nomina della commissione esterna d’ indagine. Quanto ai tre pazienti su cui sono stati impiantati gli organi, è possibile che, già dalla prossima settimana, possano ricevere un anticipo di indennizzo, uguale per tutti, in attesa della definitiva liquidazione del danno subito per il quale è stato ipotizzato un massimale complessivo di 6 mln di euro.
E’ quanto sta emergendo, nella vicenda della donatrice sieropositiva, sul fronte pisano che, da lunedì 26, sarà oggetto d’indagine da parte della commissione esterna incaricata dall’ zienda ospedaliero-universitario di Pisa. Particolari che si vanno a sommare all’errore iniziale, compiuto a Firenze, con un’errata trascrizione dei risultati dell’analisi, fatta nell’immediato, sul sangue per decidere se si poteva o meno procedere al trapianto degli organi espiantati. Con una diversa conseguenza, come spiega il direttore dell’Ott, Franco Filipponi. Se non fosse stato fatto il primo errore, quello compiuto a Firenze, non si sarebbe proceduto ai due trapianti di reni, avvenuti il giorno 14 febbraio (uno al mattino ed uno al pomeriggio) ed a quello del fegato, fatto nella notte tra il 13 ed il 14. Se invece, dal Santa Chiara di Pisa si fosse informato l’unità operativa dell’Ott della reattività aspecifica emersa anche dal primo test sul sangue, fatto il giorno 14, si sarebbe potuto intervenire sui tre pazienti trapiantati con la profilassi antivirale con cinque o addirittura sei giorni di anticipo. Filipponi conferma l’obbligo di dare avviso, se qualcosa non va, anche dopo il primo test aspecifico.
“Si tratta di una procedura prevista – spiega – dal programma di accreditamento dei procedimenti dell’Ott e da linee guida nazionali che in questo caso non sono state applicate”. “Gli analisti del Santa Chiara oltretutto – aggiunge Filipponi – sapevano che il sangue che stavano esaminando apparteneva ad un donatore multiorgano, in quanto i campioni di sangue arrivano al laboratorio accompagnati da un modulo nel quale questo aspetto viene specificato, cosa che nel caso in questione è regolarmente avvenuta”.
In caso di donazione di organi e tessuti l’iter, per quanto riguarda gli esami del sangue, è doppio. Uno riguarda le analisi per la validità degli organi, che devono esser fatte in tempi brevissimi; l’altro quelle per la validità dei tessuti per i quali, “nella fase iniziale non c’é urgenza – spiega Filipponi – che invece subentra non appena dal test, in ogni sua fase, emerga un evento avverso”. I campioni di sangue per la validazione dei tessuti, in tutto tre provette, – ha spiegato Filipponi – vengono inviate a Pisa al laboratorio di analisi di Cisanello, che fa da collettore per la validazione dei tessuti inviati alle banche toscane, in tutto quattro tra cui quella di Pisa dove vengono conservate le valvole cardiache e segmenti vascolari. La prima provetta viene analizzata a Cisanello, le altre due al Santa Chiara, dove vengono compiuti esami per individuare eventuale presenza di Hiv ed epatiti. In quest’ultimo caso vengono compiuti tre esami successivi, il primo aspecifico, dal quale può emergere una generica reattività, il secondo di verifica, che conferma o meno la reattività, il terzo per individuare quale è il virus presente nel sangue.
“Già dai risultati del primo esame aspecifico, fatto il 14, afferma Filipponi – c’erano gli elementi per dare l’allerta urgente alla centrale operativa dell’Ott a Firenze”. “Le reti trapiantologiche – osserva il direttore della Organizzazione Toscana Trapianti – sono caratterizzate da una spina dorsale, fatta dai coordinatori locali alla donazione, dalle rianimazioni e dai centri di trapianto, ma i servizi e non solo quelli sierologici devono essere maggiormente integrati in questa rete. Ora è arrivato il momento di integrarli con gli stessi principi di qualità che sono patrimonio delle reti trapiantologiche. Questo – conclude – potrà essere il contributo importante che possiamo dare, lavorando insieme alla commissione istituita dal ministero in seguito questo caso”. (ANSA).
Ma quali sono i test che consentono di rilevare la presenza dell’infezione e dunque la sieropositività? “Di solito – spiega Vella – si pensa che la presenza degli anticorpi al virus Hiv sia il segno del contagio avvenuto e, di conseguenza, che la loro assenza indichi uno scampato pericolo, ma non è così: un soggetto può infatti essere stato infettato ma non avere gli anticorpi, che possono presentarsi anche molto più tardi”. Questo significa che, soprattutto nei casi in cui è avvenuta un’esposizione ad un’alta carica virale (ed è il caso dei pazienti di Firenze), il virus Hiv può iniziare a replicarsi nell’organismo da subito, anche se gli anticorpi non dovessero formarsi in tempi brevi.
DUE TECNICHE PER RICERCA VIRUS: Dunque, dinanzi ad un probabile contagio, il primo passo, rilevano gli esperti, è eseguire il test per la ricerca del virus. E ci sono due tecniche con cui accertarne la presenza, prosegue Vella: “Attraverso la misurazione del numero delle particelle virali nel plasma o attraverso la procedura pcr (reazione della polimerasi a catena) che identifica il virus agendo come una sorta di marcatore”.
Una volta rilevata la presenza del virus (ed il test si può eseguire subito dopo il presunto contagio), si effettuano i test sul sangue per rilevare la presenza degli anticorpi che, però, possono comparire anche a distanza di mesi dal momento del contagio (la comparsa degli anticorpi è definita sieroconversione). Si tratta di due esami in particolare: lo screening ‘Elisa’ ed il test ‘westwern blot’ (un test per la rilevazione degli anticorpi ancora più preciso e che si esegue se il soggetto è positivo ad Elisa).
TERAPIA PER ABBASSARE LA CARICA VIRALE: Purtroppo, osservano gli esperti, “é estremamente probabile che i tre pazienti abbiano contratto il virus, essendo venuti a contatto con una carica virale, quella rappresentata dagli organi infetti, altissima. E questo anche se non dovessero ancora presentare gli anticorpi all’Hiv”. Tuttavia, la terapia antiretrovirale può essere decisiva: “La sua funzione – chiarisce Perno – è proprio quella di abbassare la carica virale presente nell’organismo, in modo che la malattia non progredisca e, in un certo senso, si ‘addormenti’ non evolvendo in Aids conclamato”.
Anche se esposto ad una carica virale molto forte, dunque, l’organismo, sottolineano i virologi, può rispondere molto bene alla terapia, consentendo ai pazienti una vita in condizioni del tutto normali. Insomma, la terapia può controllare benissimo la malattia, tengono a ribadire Vella e Perno, che ai tre pazienti lanciano un messaggio di speranza: “L’essersi eventualmente infettati, non è assolutamente una condanna a morte”. (ANSA).