Arezzo - Cortona - Sansepolcro

Tragedia all’Heysel: dopo 26 anni Arezzo non scorda

«Non ricordo bene quando iniziammo a fissarci sulle immagini televisive, non si capiva cosa stesse accadendo e il telecronista non ci aiutava. Ho imparato allora che le cose brutte della vita ti arrivano addosso e ti travolgono all’improvviso, quando meno te lo aspetti».Con queste parole l’aretino Francesco Caremani racconta nel libro «Heysel, la verità di una strage annunciata» (Bradipo libri editore) quel 29 maggio 1985, poco più di 26 anni fa, quando 39 persone persero la vita in una delle giornate più tristi che il mondo del calcio abbia mai conosciuto. Morirono per una partita di calcio, ma soprattutto morirono perché lo stadio nel quale si trovavano cadeva a pezzi. Morirono perché, per un’incredibile leggerezza dell’organizzazione, i tifosi juventini (quelli non organizzati, i veri gruppi di Ultras della Juventus si trovavano nella curva opposta) e inglesi si trovarono gli uni a fianco degli altri.Tra quei 39 morti c’erano anche due aretini: Giuseppina Conti e Roberto Lorentini, insignito della medaglia d’argento al valor civile perché fu travolto mentre, in qualità di medico, stava prestando soccorso ai feriti sugli spalti. Grazie al materiale conservato da Otello Lorentini, padre di Roberto, è stato possibile ricostruire, passo passo, la vicenda.«L’interesse per la vicenda dell’Heysel – spiega Francesco Caremani – nasce da alcune premesse fondamentali. Quel 29 maggio 1985 io ero davanti alla televisione, da buon tifoso juventino. Avevo 15 anni. Sono cresciuto con il ricordo di quelle terribili immagini; ma soprattutto, la mia famiglia era ed è molto vicina a quella dei Lorentini. Mio padre era collega di Roberto». Il libro raccoglie testimonianze e documenti che ricostruiscono quella drammatica giornata.«L’uomo allo stadio di Bruxelles è stato tremendamenteoffeso anche dopo che i tanti Caino, sparsi sulle gradinate, lo avevano ammazzato», si legge in un articolo dell’Osservatore Romano pubblicato nel libro. «Per calmare i Caino non si è rispettato il sangue degli Abele: si è giocato mentre i morti erano ancora lì, scomposti nella violenza appena subita; si è tifato; si è gioito. In una giornata in cui tutti e tutto sono stati sconfitti. È assurdo pensare che alcuni si ritengano vincitori ed è amaro vedere volti sorridenti per una vittoria senza senso. Nella serata di mercoledì 29 maggio 1985 lo sport è stato sconfitto e mortificato». «Ad Arezzo è stato fatto molto per ricordare i morti dell’Heysel», spiega Caremani. «Da qui è partita la battaglia per ottenere giustizia e tenere viva la memoria su quella strage. Otello Lorentini, ha prima fondato l’associazione dei familiari delle vittime e poi dato vita al Comitato permanente contro la violenza nello sport. La battaglia giudiziaria, durata 6 anni e mezzo, si è conclusa con la condanna della Uefa riconosciuta responsabile, insieme all’autorità belghe. Nel 2005, nella ricorrenza del ventennale, Arezzo ha ospitato la partita amichevole tra le formazioni primavera di Juventus e Liverpool. Un evento dal profondo significato simbolico rivolto alle nuove generazioni per non dimenticare e non ripetere mai più. Nel 2007 è stato intitolato a Roberto Lorentini il piazzale antistante lo stadio e a Giuseppina Conti quello antistante il palasport Le Caselle». di Lorenzo Canali «Io, orfano di quel dramma, credo in uno sport diverso» Roberto Lorentini quel drammatico 29 maggio 1985, lasciava una moglie e due figli. Uno di loro, Andrea, 29 anni, ha scelto di diventare un giornalista sportivo. «A soli 3 anni non si può comprendere una tragedia così grande come quella dell’Heysel. Questa tragedia ha segnato come uno spartiacque la mia vita. Negli anni ho scoperto cosa era successo, mi è stato spiegato man mano che crescevo». Nonostante tutto, anche grazie all’impegno del nonno Otello, Andrea ha continuato ad amare il mondo dello sport, tanto da farne il proprio lavoro. «Ho sempre considerato lo sport come qualcosa di positivo. Un momento di aggregazione, un’occasione per far capire che quello che è successo a Bruxelles non è sport. La mia scelta di fare il giornalista sportivo è per questo legata alla volontà di dimostrare che anche di fronte ad un dolore così forte, lo sport può e deve trasmettere valori completamente differenti». Si è fatto abbastanza per ricordare i morti dell’Heysel? «Credo che sia utile scindere due situazioni su questo fronte. Da una parte c’è stata un’intensa attività portata avanti dall’associazione dei familiari delle vittime e dal comitato contro la violenza nello sport, presieduto da mio nonno Otello. Da questo punto di vista si è fatto di tutto per tenere viva la memoria di quei 39 morti e per far sì che la verità venisse a galla. Dall’altra parte c’è stata però una certa reticenza da parte delle istituzioni sportive. Spesso i familiari delle vittime hanno dovuto combattere contro questa reticenza dei “potenti del calcio”. Nell’ultimo anno e mezzo però la Juventus, con la presidenza di Andrea Agnelli, ha fatto dei grandi passi in avanti. Il fatto che nel nuovo stadio bianconero ci sarà anche una parte dedicata al ricordo dell’Heysel è sicuramente positivo»

IL SACERDOTE EX CALCIATORE: «DOPO LO SCANDALO SCOMMESSE UN ALTRO CALCIO È POSSIBILE»

A  pochi anni dallo scandalo di calciopoli, in cui fu coinvolto anche l’Arezzo, il mondo dello sport e in particolar modo del calcio è di nuovo nel caos. Un mondo che un sacerdote della diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro conosce molto bene. Si tratta di don Paolo De Grandi, ex calciatore nel Verona di Bagnoli, oggi assistente spirituale della Polizia di Stato di Arezzo.

«Le mie sensazioni di fronte a questo nuovo scandalo sono di rammarico, anche se i fatti vanno accuratamente visti e provati», spiega don De Grandi. «Ci sono troppi interessi attorno a questo mondo. Bisogna risanare lo sport, partendo da nuovi volti e da nuove proposte. Comunque nulla accade per caso, questo può essere un’occasione per ripulire dal marciume. Piccoli segni positivi ci sono, come la nuova carica che ha ricevuto Damiano Tommasi, bella persona ed onesta».

Dopo calciopoli e questo nuovo caso legato alle scommesse, non si corre il rischio che i tifosi perdano la passione per questo sport?

«Purtroppo senz’altro una vicenda come questa porta a perdere un po’ di passione da parte di alcuni, soprattutto di chi vede lo sport come occasione di incontro, divertimento e passione. Il risultato è che negli stadi si vedono sempre meno famiglie e sempre più violenti»

Perché, secondo lei, questo mondo “incappa” così spesso in queste tristi vicende? Tutta colpa del denaro?

Sì, colpa del denaro e dell’uomo senza valori e regole. Tutto questo succede perché l’uomo sta diventando sempre più egoista. L’interesse, l’accumulare, fa perdere di vista il vero senso della vita. L’uomo rincorre l’avere, non l’essere o l’appartenere, che ti portano al confronto, al dialogo e alla condivisione.

Come può il mondo del calcio italiano ripartire dopo una vicenda simile?

Come ha sempre fatto, con umiltà e chiarendo veramente e penalmente i fatti accaduti. Per ridare credibilità a questo mondo farei entrare gratis tutti i tifosi per le prossime 5 o 6 partite del prossimo campionato.